Non ho mai incontrato Ida Lupino, ma l’ho sempre voluto. Tutti ricordano la sua recitazione dura ed emotiva, ma i suoi notevoli successi come regista sono in gran parte dimenticati. Era una vera pioniera; i sei film che ha diretto tra il 1949 e il 1953 sono notevoli film da camera che trattano argomenti stimolanti in modo chiaro, quasi documentaristico, e sono un risultato singolare nel cinema americano.
Come star, Ida Lupino non aveva gusto per il glamour, e lo stesso valeva come regista. Le storie che raccontava in “Outrage” (“La preda della belva”, 1950), “Never Fear” (1949), “Hard, Fast and Beautiful”(1951), “The Bigamist” (“La grande nebbia”, 1953) e “The Hitch-Hiker” (“La belva dell’autostrada”, 1953) erano intime, sempre ambientate in un preciso ambiente sociale: voleva “fare foto con la povera gente smarrita perché questo siamo noi”. Le sue eroine erano giovani donne la cui sicurezza borghese era stata infranta da traumi: gravidanze indesiderate, poliomielite, stupri, bigamia, abusi dei genitori. C’è un senso di dolore, panico e crudeltà che colora ogni fotogramma. In “Outrage”, ha interpretato lo stupro non in termini melodrammatici ma come un freddo studio comportamentale del male nell’ambiente più ordinario.
Ida Lupino era stata scoperta come attrice in Inghilterra dal grande regista americano Allan Dwan nel 1933, e aveva realizzato sei film prima di venire in America un anno dopo. Era meravigliosa in molti film ma con il regista Raoul Walsh era impareggiabile. Il suo ruolo nella carriera è arrivato in “High Sierra” (“Una pallottola per Roy”, 1941). Il critico cinematografico Manny Farber ha scritto che Walsh aveva un “tocco secco e ardente” con Lupino; all’esterno era dura, tosata, bella, un po’ maschiaccio, ma i suoi occhi scuri erano lo specchio di una passione divorante. Sono particolarmente affezionato al meno noto “The Man I Love” (“Io amo”, 1947) di Walsh. Lupino interpreta una cantante stanca e itinerante, ma infonde in lei un grande riserbo spirituale.
Nel 1949, dopo una lunga e controversa relazione con la Warner Brothers, lei e il suo primo marito, Collier Young, formarono una società di produzione indipendente, una scelta radicale poiché gli studi avevano un controllo sull’attività. I loro film sono stati girati in esterni con budget limitati, così limitati che Lupino ha dovuto subentrare quando il regista ha avuto un infarto tre giorni dopo la loro prima produzione, “Not Wanted” (“Non abbandonarmi”, 1949). In questo film e in seguito, con un grande anticipo rispetto al movimento femminista, ha sfidato le immagini passive, spesso decorative, delle donne allora comuni a Hollywood.
La posta in gioco nei film di Lupino è la psiche della vittima. Si sono rivolti all’anima ferita e hanno tracciato il lento e doloroso processo delle donne che cercano di lottare con la disperazione e reclamare le loro vite. Il suo lavoro è di resistenza, con una notevole empatia per i fragili e gli affranti. È essenziale.
Martin Scorsese, “The Lives They Lived: Ida Lupino; Behind the Camera, a Feminist”, “The New York Times”, 31 dicembre 1995
* Articolo segnalato da Roberto Chiesi
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