Fra la Cappadocia e la Tuscia con Pasolini e Maria Callas
Introduzione di Roberto Chiesi
Si credeva che Pier Paolo Pasolini avesse girato solo una sequenza, il Battesimo di Gesù, del “Vangelo secondo Matteo” alle Cascatelle di Fosso Castello a Chia, un luogo che Pasolini amava profondamente, tanto da acquistare un’antica torre medievale che sorgeva nelle vicinanze.
Invece le ricerche della storica d’arte Maria Andaloro hanno identificato le 115 fotografie di scena di un’altra sequenza, tagliata e perduta, che doveva appartenere al film “Medea” (1969) e che venne girata in quello stesso luogo. Era una crudele sequenza rituale che venne immortalata da uno dei più grandi fotografi di scena del cinema italiano, Mario Tursi (1929-2008).
Finalmente queste fotografie inedite si potranno vedere da domani nella mostra ideata e curata da Maria Andaloro, con la collaborazione di Salvatore Schirmo e Gaetano Alfano. Ne parleremo domani, alle 16,30, a Viterbo, presso l’Università degli studi della Tuscia, nell’Aula Magna “Gian Tommaso Scarascia Mugnozza” (via Santa Maria in Gradi 4).
Seguirà l’inaugurazione della mostra “Medea ritrovata” nei chiostri del Complesso di Santa Maria in Gradi. Il luogo è quel lembo di terra nella Tuscia che si addensa attorno alle Cascatelle di Fosso Castello a Chia, per Pier Paolo Pasolini il “paesaggio più bello del mondo”; la scena è inedita e appartiene al film “Medea” di Pasolini, girato nel 1969. Tagliata dal montaggio del film, essa tuttavia sopravviveva celata in 115 foto in b/n e in 7 a colori del fotografo di scena del film Mario Tursi, conservate nell’Archivio Appetito.
Ora, qui, nei chiostri rinascimentale e medievale del complesso di Santa Maria in Gradi a Viterbo, è in mostra la scena dell’uccisione rituale alla Luna, scena “ritrovata”, riconosciuta e ricostruita partendo dalle fotografie di Mario Tursi. Fin dal Trattamento di Medea (primavera 1969), dove l’abbiamo intravista in nuce nella scena 14, essa è pensata da Pasolini fra quelle ambientate nella mitica Colchide, patria di Medea e custode del vello d’oro; è ancora presente nel piano delle riprese, quando si gira nella Colchide che nella finzione cinematografica ha il volto della Cappadocia (2-21 giugno 1969); ne viene sfilata e inaspettatamente trasferita a Chia dove sarà girata tra il 27 e il 30 giugno. Protagonista di questa scena tutta al femminile è Maria Callas nelle vesti di Medea.
“Medea” è stata, dunque, ritrovata fra la Cappadocia e la Tuscia, come dichiara il titolo della mostra. La troupe, il produttore Franco Rossellini, Maria Callas e il regista Pier Paolo Pasolini volano dall’aeroporto di Kayseri a Fiumicino e il set si sposta da Uçhisar e Göreme – in Cappadocia – a Chia, nella Tuscia.
La mostra affonda le sue radici in un’altra mostra, quella dal titolo in parte corrispondente “Parlami, Terra!”
Medea in Cappadocia con Pasolini e Maria Callas, realizzata dall’Istituto Italiano di Cultura di Istanbul e dalla Missione di Ricerca e Restauro dell’Università della Tuscia in Cappadocia, in occasione del centenario della nascita del regista (1922-2022) (Göreme e Uçhisar, 10 settembre – 10 novembre 2022, ideazione e progetto di Maria Andaloro, a cura di Maria Andaloro, Salvatore Schirmo, Gaetano Alfano). Tutto ha origine da una premessa, dal fatto che Pasolini, con felice anacronismo, situa in Cappadocia la mitica Colchide, proprio in quel pezzo di territorio dove opera la Missione dell’Università della Tuscia dal 2006, suggerendo quelle lunghe ricerche che ci hanno portato a identificare ogni sito, ogni luogo, ripreso dal regista in Medea. È in questo contesto che, analizzando una decina di foto di Tursi pubblicate su scene tagliate di Medea, abbiamo individuato non il paesaggio della Cappadocia, di Göreme, Uçhisar e Çavuşin, ma quello delle Cascatelle di Fosso Castello, riconoscendovi lo stesso luogo dove Pasolini aveva ambientato, nel 1964, la scena del Battesimo di Cristo nel film “Il Vangelo secondo Matteo”.
È da questo riconoscimento del luogo che è germinata la mostra attuale. Come nella mostra di Göreme e Uçhisar, anche in questa di Viterbo, davanti alla scena “ritrovata”, oscilleremo fra la geografia reale – le Cascatelle di Fosso Castello – e la geografia immaginaria di Pasolini – la Colchide – solo che qui la Colchide non ha il volto della Cappadocia ma quello di Chia.
Nel luogo incantato, “dove l’Ariosto sarebbe impazzito di gioia”, Pasolini osa mettere in scena un sacrificio umano, l’uccisione rituale alla Luna, un soggetto sideralmente distante dal nostro orizzonte culturale ma quanto mai identificativo del mondo sacrale della Colchide e cruciale nella visione che Pasolini proietta su Medea: “Il tema (di Medea), come sempre nei miei film, è una specie di rapporto ideale, e sempre irrisolto tra mondo povero e plebeo, diciamo sottoproletario, e mondo colto, borghese storico. Questa volta ho affrontato direttamente, esplicitamente questo tema. Medea è l’eroina di un mondo sottoproletario, arcaico, religioso, Giasone invece è l’eroe di un mondo razionale, laico, moderno. E il loro amore rappresenta il conflitto tra questi due mondi” (Pier Paolo Pasolini, intervista televisiva, 1969). Alla luce della citazione, il paesaggio delle Cascatelle di Fosso Castello ci apparirà sì il pezzo incantato che fa da sfondo alla scena dell’uccisione rituale, crudele e paradossalmente piena di grazia, ma finisce nel contempo per assurgere a quello statuto di paesaggio sacro che è proprio della mitica Colchide e che finora coincideva solo con la Cappadocia. Inoltre, come sempre avviene nei film di Pasolini, anche il paesaggio della scena “ritrovata” associa a sé le persone del luogo che a decine il regista reclutò tra le cittadine di Chia e del territorio, richiamandone anche qualcuna che aveva partecipato al Battesimo di Cristo ne Il Vangelo secondo Matteo.
Come il paesaggio non è semplice sfondo, così le comparse non sono anonime ma hanno una forza e una centralità da coprotagoniste accanto a Medea, la “divina” Maria Callas. La mostra si articola in due sezioni corrispondenti ciascuna ai tematismi contenuti nel titolo:
1. Medea Ritrovata. Sezione incentrata sulla presentazione della scena, l’uccisione rituale alla Luna, ricomposta partendo dallo studio delle 115 foto di Mario Tursi (Archivio Appetito);
2. Fra la Cappadocia e la Tuscia con Pasolini e Maria Callas, un percorso che prevede uno sguardo curioso sul set di Medea, uno sguardo partecipe su Pasolini dolente per le sorti del paesaggio in Tuscia e in Cappadocia e infine una “visita” alla Missione di Ricerca e Restauro dell’Università della Tuscia in Cappadocia.
E il percorso si conclude nella Saletta proiezioni con la visione di alcuni video. La scena “ritrovata” rimbalzerà alla vista del visitatore lungo il percorso della mostra secondo diverse angolature.
In progressione, attraverso la galleria delle foto sospese in b/n, poi, attraverso le sette foto a colori, a seguire, nel chiostro medievale, attraverso quella che vorremmo chiamare la “camera picta” della scena, un esperimento ardito ma che Pasolini avrebbe approvato. Infine, attraverso il video realizzato sulla base delle foto di Tursi. Questo video restituisce il fantasma, l’abbozzo dell’uccisione rituale alla Luna di Pier Paolo Pasolini, ripresa però dal punto di vista del fotografo di scena che era prossimo a quello scelto dal regista ma non coincidente.
Medea Ritrovata
Immagini dell’allestimento Chiostro Rinascimentale – Università degli Studi della Tuscia – Viterbo
– dal 9 Maggio 2024 al 6 Settembre 2024
Presentazione Mostra Medea RitrovataMario Tursi – Biografia
Mario Tursi, classe 1929, nasce a Roma da una famiglia di fotografi: il padre fotoincisore, la madre fotografa e direttrice di laboratori fotografici. Gia negli anni 1943-1944 e in strada a scattare fotografie per lo studio Lombardini. Dopo la liberazione lavora in Vaticano, assunto dall’Agenzia Giordani, fotografi ufficiali della Santa Sede. Dopo un anno si trasferisce al quotidiano “Momento Sera”, distaccato li dall’agenzia VEDO per cui lavora, diretta da Adolfo Porry Pastorel, una figura storica del fotogiornalismo italiano. Lavora anche per l’Associated Press, poi arrivano i reportage in tutto il mondo. Il cinema comincia a seguirlo negli anni 1953-1954 in circostanze curiose. Porry Pastorel diviene sindaco di San Pietro Romano, un paesino nelle vicinanze di Roma, dove girano Pane amore e fantasia. Ed e proprio Porry a spingere perché il film venga girato a San Pietro Romano. Cosi Mario segue saltuariamente la lavorazione. Dopo quell’impegno ne vengono altri. Tutti seguiti come fotoreporter non come fotografo di scena. Ci sono poi gli special per gli americani. Infine arriva il primo film come fotografo di scena, nel 1962: Mare matto di Renato Castellani. Nel 1956 rileva l’agenzia VEDO e ne diviene direttore. Nel 1965 passa definitivamente al cinema e quindi decide di chiudere l’agenzia. Ammira molto il lavoro di Poletto, di Paul Ronald e di Pierluigi Praturlon, ma lavora senza punti di riferimento. Quello che vuole assolutamente evitare e lo scatto da fotoromanzo, tecnicamente perfetto ma privo di vita. I “quadretti” ben riusciti non gli sono mai piaciuti molto. Sono molti i ricordi che lo legano a Luchino Visconti. Citiamo un episodio significativo del rapporto che si era instaurato tra loro raccontato da Mario: “Eravamo sul set de La caduta degli dei. Si doveva girare la scena dell’incesto tra la Thulin e Berger, una scena scabrosa da molti punti di vista. Dal momento che gli attori erano entrambi nudi sul letto, la Thulin aveva chiesto espressamente che non venissero fatte foto di scena. Visconti mi disse: “Non vuole, quindi non fare fotografie”. Io provai ad obiettare qualcosa ma lui secco rispose: “Non si fa e basta”. Si girava nel teatro 5 di Cinecittà, all’interno del quale, in un angolo, era stata montata la scenografia della camera da letto. Tutto intorno era buio e la troupe ridotta al minimo. Io, in silenzio, mi muovevo per il teatro alla ricerca di un buon punto di visuale e mi dicevo: “Bisogna farle queste fotografie, la scena e troppo importante”. Mi piazzai in un angolo buio, caricai un 300, misi la macchina sul cavalletto e scattai, non visto, le foto. Qualche giorno dopo, presentai, com’era abitudine, a Visconti le foto scattate nel corso di quei giorni, escluse naturalmente quelle ‘vietate’. Visconti mi fa: “E quelle dell’incesto?”. Io ribatto: “Come le foto dell’incesto? Ho implorato di farle ma mi e stato espressamente proibito!”. Visconti continua: “Non le hai fatte?”. “Non le ho fatte no!” rispondo. “Non e possibile!” aggiunge Visconti incredulo. Vista poi la sua delusione, confessai che mi ero permesso ugualmente di farle. “Dai dai, tirale fuori” mi ordino sorridendo. Questo per far capire come fosse importante ‘interpretare’ quello che lui voleva.” Un altro regista con cui si e trovato benissimo e Elio Petri con Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, film che vince l’Oscar. E poi Pasolini (definito da Tursi un gran signore, che non imponeva mai niente ed usava sempre una estrema cortesia), e ancora dalla Wertmuller a Petri, da Rappeneau a Bunuel, dalla Cavani a Rosi, da Lattuada a Scola, da Polanski a Benigni e Troisi (con quest’ultimo s’era istaurato fin da subito un rapporto quasi filiale) fino alla collaborazione con Martin Scorsese nel film “Gangs of New York“, girato a Cinecittà con cui termina la sua carriera di fotografo di scena.
Roberto Chiesi – BIO
Critico cinematografico e responsabile del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, è membro del comitato direttivo della rivista internazionale «Studi pasoliniani» e del comitato di redazione del periodico «Cineforum», inoltre è collaboratore del programma radiofonico di RAI3 “Wikiradio”. Scrive per i periodici «Segnocinema» e «Cinecritica». Ha collaborato al Dizionario Treccani del cinema e alla “Storia del cinema italiano 1970-1975”della Scuola Nazionale di Cinema. Ha curato l’edizione dvd di dieci film della collana Bergman Collection per BIM e, per le edizioni Cineteca di Bologna, de La rabbia (2008), Appunti per un’Orestiade africana (2009, dvd e libro), Fuoco! Il cinema di Gian Vittorio Baldi (2009), L’Oriente di Pasolini (2011), Accattone (2015) (con Luciano De Giusti), Il mio cinema (2015) (con Graziella Chiarcossi) e l’edizione dvd di Salò o le 120 giornate di Sodoma (2015).È autore o curatore, fra gli altri, anche dei libri Hou Hsiao-hsien (Le Mani, 2002), Jean-Luc Godard (Gremese, 2003), Pasolini, Callas e «Medea» (FMR, 2007), Il cinema noir francese (Gremese, 2015), Cristo mi chiama ma senza luce. Pier Paolo Pasolini e Il Vangelo secondo Matteo (Le Mani, 2015), «8 ½»di Federico Fellini (Gremese, 2018), Il cinema di Ingmar Bergman (Gremese, 2018). Ha collaborato ai volumi Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi. Tra società delle lettere e solitudine (Marsilio, 2018), TuttoFellini (Gremese, 2019), Simenon e il cinema (Marsilio, 2020), La sfinge nell’abisso: Pier Paolo Pasolini, il mito, il rito e l’antico (Universalia, 2020), Petrolio 25 anni dopo.(Bio)politica, eros e verità nell’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini (Quodlibet, 2020), Gettiamo il nostro corpo nella lotta. Il giornalismo di Pier Paolo Pasolini (Marsilio, 2020), Pasolini e Sciascia, gli ultimi eretici (Marsilio, 2021) e recentemente TuttoPasolini (Gremese, 2022).
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