di Silvia Lamacchia
INTRODUZIONE
“Eppure io credo che se ci fosse un po’ di silenzio, se tutti facessimo un po’ di silenzio, forse qualcosa potremmo capire.”
(Federico Fellini 1990)
L’informazione, cruda e trasparente, è l’elemento che funge da carburante indispensabile nel mondo e nella società attuali. Viviamo in un’era in cui la libertà di parola viene troppo frequentemente confusa con un’ignorante inconcludenza verbale.
Grazie all’avvento delle nuove tecnologie, siamo oggi più interconnessi che mai: abbiamo, col tempo, sviluppato un bisogno morboso di condividere con il nostro personale “pubblico” tutto ciò che accade, a noi e agli altri, curando minuziosamente ogni più piccolo dettaglio, assicurandoci di raccontare tutto, e nel migliore dei modi. Non importa la natura del contenuto, assume rilevanza soltanto la sua diffusione.
Costantemente inondati da parole, commenti, e dalla sproloquiante espressione di pensieri senza filtri che risultano molto spesso fuori luogo, abbiamo plausibilmente perso il buon senso legato all’appropriatezza di linguaggio in determinate circostanze. Complici ausiliari di questa tendenza sono divenuti proprio i social network, in cui esprimere la propria opinione non è mai stato così semplice. Oltre che principali vettori di tale tendenza sociale, questi sembrerebbero anche responsabili di un’alterazione nello sviluppo psicologico individuale: è infatti dimostrato come la solitudine e il silenzio consentano il necessario raggiungimento della coscienza di sé e della propria immagine; tale processo, nella fatale iperconnessione della società attuale, però, risulta demandato alla percezione che gli altri esprimono di noi anziché a quella personale, causando insicurezza e sentimento di inadeguatezza costanti.
La linea di confine tra il dire troppo e il non dire (effettivamente) nulla si assottiglia pericolosamente, fino a scomparire del tutto. La sostanza delle parole si sgretola pian piano, svuotandole di senso, profondità e valore, lasciando dietro di sé un mero brusio di fondo, un chiacchiericcio confusionario, in cui l’originalità del singolo risulta pressoché inesistente. Nulla si distingue e tutto si amalgama.
Alla base di questa colossale “Torre di Babele” che possiamo chiamare società contemporanea, nasce la necessità di sottrarsi alla sovraesposizione incessante a stimoli eccessivi e di fuggire dal fastidioso cicalìo che anima le bacheche dei nostri profili, espressione di un arido sproloquio da tastiera. Quante volte, in seguito ad eventi disastrosi, calamità naturali o catastrofi di ogni genere, veniamo bombardati da nuovi hashtag, tendenze, messaggi e preghiere in rete?
Spesso, ciò che all’apparenza può sembrare un legittimo e generoso atto di solidarietà, altro non è che uno strumento volto a nutrire l’ego di ogni suo diffusore, banalizzazione e irriverenza nei confronti della sofferenza vera, viva e concreta degli individui davvero coinvolti.
Nell’intento di rendere omaggio a Federico Fellini, in occasione del centenario della sua nascita (1920), la tesi vuole dunque riproporre tematiche quali il rifiuto del caos e la ricerca di una solitudine silenziosa, che ricorrono anche nella poetica del regista riminese. Lo scopo della ricerca consiste nel restituire alla parola inflazionata il valore perduto a causa del suo utilizzo spropositato all’interno della rete sociale contemporanea. La realizzazione di un cortometraggio animato fungerà da veicolo espressivo della tesi elaborata.
La finalizzazione del progetto consiste in una rappresentazione audiovisiva della poetica della negazione, ricca di chiari riferimenti alla corrente ermetica e alla produzione felliniana. La componente di ricerca cinematografica troverà infatti il suo fulcro nell’analisi del film “La voce della luna” (1990) di Federico Fellini. L’obiettivo è dunque quello di produrre un cortometraggio che funga da tributo artistico al genio riminese, nell’irripetibile occasione del centenario della sua nascita. Il cortometraggio di animazione dal titolo “La Torre d’Avorio” relativo alla tesi verrà realizzato con la tecnica di animazione digitale 2d. Per ottenere uno stile grafico pulito e realistico, i personaggi non riportano contorni, ma vengono modellati attraverso l’utilizzo dei colori nei loro punti di luce e di ombra. La narrazione è semplice, lineare e metaforica, e la sceneggiatura si presenta essenziale e scarna, priva di dialogo. L’unica battuta viene pronunciata nel momento di climax del film, riprendendo quindi l’estetica linguistica delle poesie ermetiche.
L’arco di sviluppo del protagonista consiste in una crescita personale che gli permetterà di effettuare un viaggio metafisico dalla “Torre di Babele”, simbolo della sterile confusione, alla “Torre d’Avorio”, emblema del silenzio ritrovato e fecondo. Tale intimo percorso appare come un ponte che possa condurre dalla prima, caotica e disordinata, alla seconda, spirituale e riflessiva.
La componente pratica di questa tesi si propone di esporre la necessità che abbiamo di rifuggire un’esistenza talmente piena da risultare vacua e svuotata di senso e quella di restituire al linguaggio un utilizzo assennato e calibrato, estraendolo dalla marea di mormorii prolissi ed inconcludenti in cui sta progressivamente annegando.
Il Cortometraggio
La Torre d’Avorio è non soltanto un cortometraggio di animazione, ma un vero e proprio tributo al grande regista riminese Federico Fellini, in occasione del centenario della sua nascita. Esso tratta infatti tematiche molto amate da Fellini, quali la solitudine, la quotidianità, la vita, la morte e il silenzio. Il cortometraggio rappresenta il tentativo di raccogliere e reinterpretare l’eredità spirituale lasciata da La voce della luna, nell’intento di conservarne comunque fedelmente l’idea e il pensiero.
La narrazione è di per sé un elogio al silenzio in contrasto con la frustrazione – che talvolta tutti sperimentiamo – di una vita sovrastata dalla confusione che, in una società iperconnessa, ci priva paradossalmente della connessione personale con noi stessi.
Di ispirazione felliniana, l’atmosfera da sogno e l’attenzione ad un’umanità malinconica e struggente permeano intenzionalmente tutto il cortometraggio. Funge da ambientazione una Rimini delicata e sfumata, dai toni nostalgici, in cui si muovono i protagonisti Ivo e Amelia, rispettivamente dal nome dei protagonisti di La voce della luna e Ginger e Fred.
La prima scena si apre su una spiaggia assolata della Riviera romagnola, emblema della quotidiana tranquillitàche la coppia predilige. In lontananza si scorgono le sagome della Ruota Panoramica e del Grand Hotel di Rimini, entrambi immediati riferimenti al mondo felliniano. Dopo la morte improvvisa della moglie, Ivo si ritrova solo nella sua casa del Borgo.
Le notifiche dei messaggi digitali rimbalzano assillanti nella mente del protagonista, emesse dall’enorme ripetitore che sovrasta la sua abitazione come una minacciosa moderna Torre di Babele, presente anche in una breve inquadratura in Ginger e Fred: in quest’ultima la ballerina scorge un angosciante ripetitore radio dalla finestra della camera d’albergo in cui al- loggia sola in attesa di partecipare allo show televisivo. In entrambi i casi, la costante ed incombente presenza dei dispositivi mediatici appesantisce l’atmosfera rendendola insopportabile.
Altro elemento distintivo che richiama l’immaginario felliniano è costituito dall’utilizzo del dialetto nell’unica esclamazione da parte di Ivo, che spicca nel momento di climax del cortometraggio. Il dialetto romagnolo, come tanti, è ormai una lingua in estinzione, utilizzata principalmente dagli anziani, ma reca in sé una forte connotazione culturale che il regista riminese ha sempre apprezzato e utilizzato come potente forma espressiva.
La battuta fa riferimento ai versi della poesia Zéinch minéut tratta dalla raccolta di poesie Intercity (2003) di Raffaello Baldini (Santarcangelo di Romagna, 1924 – Milano, 2005), poeta e scrittore appartenente alla scuola romagnola del più celebre Tonino Guerra. Baldini scrive:
Zéinch minéut
“Acquè u n sint gnént, s’ a n stasí zétt, sté zétt! sè, t’é vòia, zò, par piesàir,
zéinch minéut, se no u n s sint un azidént, ècco, andémm un pó mèi, però alazò,
a déggh sa vuílt, cs’ èll ch’ u v gòsta stè zétt? porca putèna, a v li gí dòp al robi,
adès sté zétt, acsè, zétt ènca mè,
gnént, mo va là, u n s sint gnént l’istèss, però che roba, sint che roba, a stè zétt tótt.”1
(Raffaello Baldini, Intercity, 2003)
Traduzione italiana:
Cinque minuti
“Qui non si sente niente, se non state zitti, state zitti! sì, hai voglia, state zitti, su per piacere,
cinque minuti, se no non si sente un accidente, ecco, andiamo un po’ meglio, però laggiù,
dico a voi, cosa vi costa star zitti? porca puttana, ve le dite dopo le cose, adesso state zitti, così, zitto anch’io,
niente, ma va’ là, non si sente niente lo stesso, però che roba, senti che roba a star tutti zitti.”
In seguito all’esplosione emotiva di Ivo, si approda a una dimensione onirica, quasi parallela, in cui il protagonista viene catapultato, ritrovandosi nel buio della notte in riva al mare. Improvvisamente il chiasso martellante si dissolve lasciando spazio al solo suono delle onde sulla battigia. La stessa atmosfera si ritrova nel finale de La strada (1954), in questo caso come occasione di catarsi e momento di rivelazione esistenziale e di verità interiore per il rozzo Zampanò che si accascia abbandonandosi ad un un pianto solitario sulla sabbia.
È proprio qui che il nostro protagonista assiste alla magica apparizione del magnifico pavone bianco. L’animale rappresenta la rinascita, il cambiamento da una situazione spesso negativa ad una positiva ed il risveglio della spiritualità nell’intimo dell’animo. Il valore altamente simbolico del pavone richiama l’atmosfera di numerosi film di Federico Fellini, che ad esempio lo utilizza in una particolare scena del film Fellini Satyricon(1969), in cui una coppia in attesa di morte violenta decide di togliersi la vita, nel quadro struggente ornato dalle sagome di due pavoni con le code ripiegate.
Analogamente, in Amarcord (1973) il regista dedica un’intera scena all’arrivo inatteso del pavone del Conte. Nel film, volando attraverso la nevicata, l’animale atterra sul bordo della fontana della piazza, coronando il suo teatrale arrivo con una splendida ruota che ipnotizza tutti i presenti. La scena si inserisce in una concatenazione di situazioni che trascinano lo spettatore in un infinito ciclo vitale, scandito dal susseguirsi dei più importanti eventi della vita: è così che tra matrimoni, funerali, festeggiamenti e celebrazioni scorrono le stagioni come su una giostra che non smette mai di girare. Infine, la rivelazione per Ivo del luminoso chiaro di luna rappresenta un evidente omaggio all’ultimo indimenticabile film di Fellini, La voce della luna, in cui il volto dell’amata del protagonista appare magicamente sulla bianca superficie lunare.
In ultimo, è importante sottolineare la ricerca di incisività più autentica della colonna sonora originale, realizzata appositamente per lasciar affiorare le atmosfere e l’immaginario felliniani che soltanto il genio di Nino Rota aveva saputo rendere iconici. I compositori Matteo Mussoni, Samuele Bernardi e Andrea Donatisono stati in grado di riprodurre fedelmente melodie e sonorità tipiche, immediatamente riconducibili ai motivi che caratterizzano i protagonisti del regista riminese, avvalendosi di una strumentazione accurata che comprende l’utilizzo di archi, fiati, il clarinetto di Beatrice Carlini e infine la fisarmonica del signor Cesare Succi, registrati dal vivo. Si tratta di un’esperienza uditiva dal carattere nostalgico, con la straordinaria capacità di trasportare gli spettatori nel tanto amato mondo dei sogni di Federico Fellini.
Silvia Lamacchia
Non esistono parole che possano descrivere eloquentemente la gratitudine che provo oggi. Sono orgogliosa di annunciare che il mio cortometraggio in animazione “La Torre d’Avorio” è il vincitore del premio miglior cortometraggio all’Innovation Film Fest del grande @webmarketingfestival.
Mi chiamo Silvia Lamacchia, ho ventidue anni e vengo da Rimini.
Da pochissimo mi sono laureata in Media Design e Arti Multimediali, nell’indirizzo di animazione, alla NABA (Nuova Accademia di Belle Arti) di Milano. Ho presentato come progetto di tesi un cortometraggio animato in 2D intitolato La Torre d’Avorio, tributo al Maestro Federico Fellini in occasione del centenario della sua nascita, realizzato sotto la supervisione di Michel André Fuzellier.
Grazie al mio percorso di studi ho avuto l’occasione di acquisire gli strumenti di quello che è non solo il mio lavoro, ma la mia passione. Sin da piccola, il disegno è sempre stato una parte fondamentale della mia vita: ovunque andassi portavo sempre con me carta e penna. Disegnavo continuamente, in ogni momento libero (e non) che mi si presentava davanti e, ovviamente, sono cresciuta a pane e cartoni animati. Ricordo ancora col sorriso un lungo viaggio in aereo all’età di cinque anni, passato a disegnare figure di vari animaletti sui fogli colorati di un intero blocchetto di post-it, che ho poi orgogliosamente distribuito a tutti gli increduli passeggeri in cabina.
Col passare del tempo ho affinato le mie abilità illustrative, tanto da decidere, dopo cinque anni di liceo linguistico, di intraprendere proprio questa carriera. Infatti, durante il periodo di scuola superiore, ho avuto l’occasione di trascorrere il quarto anno in Australia, dove frequentavo la high school pubblica. Tra i vari corsi, quello di arti applicate mi ha rivelato con chiarezza che la via delle arti figurative era quella che avrei sempre voluto percorrere, grazie anche al fortunato evento di esporre il mio progetto finale alla mostra Gold Coast Energies, nel 2016. Al mio ritorno in Italia, ho iniziato ad esplorare anche il mondo della fotografia, spaziando tra street photography ed eventi musicali. Questa esperienza ha favorito un approccio decisamente più efficace al mio senso della composizione dell’immagine, facilitando poi il mio apprendimento tecnico nei termini più cinematografici del mio percorso accademico. Durante il triennio in NABA ho studiato la storia del cinema e il suo linguaggio espressivo, ho scoperto con entusiasmo l’arte della sceneggiatura, ma ho imparato a comunicare anche in maniera prettamente visiva, dando vita alle storie e ai personaggi della mia testa. Ho scelto quindi di specializzarmi in animazione, la modalità di racconto a me più congeniale: c’è qualcosa di indescrivibilmente straordinario nel vedere una tua creazione prendere vita, e farlo per lavoro sarebbe davvero un sogno.
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