di FRANCESCA FABBRI FELLINI
Mi chiamo Francesca Fabbri Fellini, classe ‘65, figlia di Maria Maddalena Fellini, sorella minore di Federico Fellini.
In qualità di ultima erede per DNA della Famiglia Fellini, ho deciso di dare i giusti tributi a tutti i suoi membri, partendo dall’inizio come in ogni favola che si rispetti, perché ogni storia parte da una storia d’amore.
Capire da dove veniamo è capire un po’ di più, un po’ meglio noi stessi e il mondo intorno a noi.Quante volte ci capita di domandarci, chi siamo? Così frughiamo nei nostri pensieri,nelle nostre passioni. Insomma un ritorno alle proprie origini, quelle radici che non si vedono: si sentono, si amano.
Gli studiosi hanno dimostrato che il ruolo della nonna materna è fondamentale in ambito genetico.
Un genetista, mi ha spiegato che quando mia nonna era incinta di sua figlia Maddalena, già vi erano nel suo feto gli ovociti formati e fra quelle centinaia di migliaia di ovuli uno portava il mio nome.
Mi piace pensare, da sognatrice, che ho cominciato a vivere nel corpo di mia nonna, donna straordinaria che ha contribuito all’educazione della donna che sono. Una Madre in più.
Il professore mi spiegò anche che stando alle leggi della genetica, il 25 % del mio DNA è uguale a quello del mio zio Federico, e ancor più, mentre questa percentuale è la più probabile, invece tutti i geni del DNA mitocondriale di nonna Ida, essendo stati trasmessi esattamente a tutti e tre i suoi figli, anche io li ho ricevuti identici da mia madre Maddalena, in quanto com’è noto, il DNA mitocondriale è trasmesso solo per via femminile.
Sono solo poche decine questi geni, ma sono importanti perché implicati tra l’altro nella produzione dell’ energia a livello cellulare.
E il mio zio Federico di energia ne aveva tanta e così anche io come sua erede mi sento impegnata a non smentire le leggi della genetica provando a dare il mio contributo all’energia ed inventiva della Famiglia Fellini.
Dovete sapere che è sempre esistito dal giorno della mia nascita, il 24 maggio 1965 un legame speciale tra me e la mia nonna materna, Ida Barbiani.
Saltando sui rami del mio albero genealogico, cercherò di raccontarvi dove comincia la strada di un piccolo genio nato in Romagna, figlio di una casalinga, Ida Barbiani ( 1896-1984) e di un rappresentante di commercio, Urbano Fellini (1894-1956).
A Rimini, il 20 gennaio del 1920, in una serataccia con tuoni e fulmini, nell’appartamento dei miei nonni Fellini, in viale Dardanelli 10, grazie ad un medico condotto, nasce in salute un bel maschietto, Federico, primogenito di 3 figli.
Numerosi astrologi hanno studiato il suo tema natale: un Capricorno con ascendente Vergine.
Una circostanza curiosa fa sì che mentre nasce, al Politeama Riminese sta recitando nella tragedia ‘Glauco’ di Ercole Luigi Morselli, il giovane attore, Annibale Ninchi, che molti anni dopo, interpreterà la parte del padre del protagonista (interpretato da Mastroianni) ne “La dolce vita” e in “8 1/2”.
Il destino ha voluto così che, accanto alla culla del futuro Maestro del cinema mondiale, ci siano a breve distanza due padri: Urbano e Annibale, quello della realtà e quello della fantasia.
Ma chi erano i miei Nonni materni ?
Nata a Roma, in via Daniele Manin, quartiere Esquilino, il 4 novembre del 1896, nonna Ida è figlia di Riccardo Barbiani e Maddalena Leali : il mio bisnonno è socialista, capelli neri e baffi rossi, commerciante all’ingrosso di uova, la mia bisnonna invece è romana di sette generazioni. Purtroppo a soli 39 anni morì di febbre puerperale dopo aver avuto 11 figli.
La storia del matrimonio dei miei nonni materni è una specie di fiction che la nonna Ida mi narrava quando ero piccolina, come se fosse una favola, per farmi addormentare la sera.
Nato nel 1894 a Gambettola, nonno Urbano è il più giovane dei 5 figli di Luigi Fellini e Francesca Casalini. I Fellini discendono da una famiglia contadina dell’Appenino tosco – emiliano. Urbano frequentò solo le scuole elementari e cominciò a lavorare giovanissimo.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, prigioniero dei tedeschi, fu spedito a lavorare nelle miniere di carbone in Belgio (dove si ammalò di cuore).
Di ritorno dal Belgio, Urbano si ferma a Roma, trovando un impiego come garzone di fornaio presso il Pastificio Pantanella, la camera della pensione dove vive, si trova proprio in Via Manin, dove s’innamora, della sua dirimpettaia la bella signorina Ida. ./.
Fin da principio non hanno granché in comune: campagnolo lui, cittadina lei, lui costretto a lavorare per vivere, lei benestante.
Sono di carattere opposto e tali resteranno per tutta la vita : il nonno è estroverso, spiritoso, conviviale; la nonna è chiusa e di costumi austeri.
In casa dei miei bisnonni Barbiani dove il pretendente è subito malvisto si pensa che Ida potrebbe trovare di meglio.
Nonostante le titubanze, la nonna sedotta dalla simpatia e dal bell’aspetto di Urbano, non rinuncia e si lascia trascinare nel 1919 in una romantica fuga nella casa paterna del nonno, a Gambettola, alla quale seguirà il matrimonio.
I rapporti della nonna con la sua famiglia di origine ne risultano irrimediabilmente compromessi per sempre.
E’ difficile per la nonna cancellare dentro di sé l’amarezza di chi ha osato troncare di netto le proprie radici affettive, e da parte dei Barbiani nessuno farà mai un gesto di pace risolutivo verso mia nonna Ida, considerata per quell’ epoca, una ragazza debosciata, e quindi da diseredare.
Verso la fine del ‘19 i miei nonni si trasferiscono da Gambettola a Rimini, dove il nonno Urbano avvia l’attività di rappresentante di commercio, grazie alla quale si conquistò una buona posizione economica.Avendo un tratto gioviale, che ispira fiducia lo battezzarono “il Principe dei Commercianti”.
Quando Federico aveva appena un anno, nacque Riccardo (1921-1991) seguito, nel 1929, da Maddalena, mia madre, scomparsa nel 2004.
La nonna Ida si dedicò completamente alla sua famiglia e fu una casalinga.Disegnava molto bene e le piaceva disegnare con i suoi bambini.
Sono convinta che Federico abbia preso questa sua straordinaria dote di caricaturista e disegnatore, proprio da sua madre.
La nonna raccontava che il suo Federico sognava da grande di diventare burattinaio.
A 8 anni gli comprò un teatrino così lui s’inventava un’infinità di storie, muovendo i burattini. Era lui che ideava i vestitini delle maschere.
Federico di sua madre un giorno disse:
“…ora mi accorgo che ho qualcosa da confessare. Quando sono diventato un regista di successo, avrei voluto dire a mia Madre, con grande chiarezza, quanto ero consapevole dell’influsso che Lei aveva avuto sulla mia esistenza. E’ stata la regista di tutta la mia Vita.”
Qual è il più bel complimento che un figlio può fare a sua madre? … su una sua fotografia del 1940, lo zio Federico scrisse: ”Alla mia Mammona che ebbe la bellissima idea e la grande originale trovata di mettermi al mondo”.
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Uno dei dolori più grandi per mia mamma Maddalena e per lo zio Federico è stata la morte del loro padre : il nonno Urbano morì di un attacco di cuore a soli 62 anni, nel 1956.Malattia cardiaca che veniva dal passato come minatore nella miniera di carbone.
Se gli chiedevi di suo padre Urbano, Federico diceva che il primo ricordo che gli veniva in mente era la stazione: il nonno che saliva sul treno, il ferroviere col berrettino a visiera che chiudeva uno dopo l’altro gli sportelli, Urbano che si affacciava al finestrino e restava lì a salutare mentre il convoglio con un gran scossone di vagoni schiodati si metteva in moto. Le stazioni, i viaggi nella memoria, le partenze, gli addii, la nostalgia i ritorni tutto questo è Federico grazie anche ad un padre viaggiatore di commercio inquieto e festoso che riappariva pieno di regali capaci di eccitare la fantasia di un bambino.
Mia mamma raccontava che Urbano era un papà molto simpatico, faceva sparire le monete con piccoli giochi di prestigio, raccontava storielle e aveva sempre le tasche piene di caramelle da regalare a tutti i bambini. Si commuoveva facilmente, bastava che i figlioli prendessero un bel voto a scuola e gli occhi gli diventavano lucidi. Il Nonno tra le pareti domestiche, era solito stare in maniche di camicia, col gilet, un lungo bocchino con la sigaretta, seduto davanti alla sua macchina da scrivere a rispondere alla posta. Quando tornava dai viaggi e veniva a sapere delle mascalzonate di Federico e Riccardo, annunciava provvedimenti terrificanti per dar soddisfazione alla nonna, tipo: ”Mi mangio la macchina da scrivere, mi mangio il tavolo, mi mangio l’ombrello”.
Alcune di queste scene lo zio Federico le ha raccontate magistralmente in “Amarcord”, regalandole al ruolo del papà di Titta.
Come tutti sanno Federico e Giulietta hanno avuto un figlio Pier Federico nato il 22 marzo del 1945 e morto appena dopo 11 giorni, il 1 aprile, il giorno di Pasqua.
Il dolore per quella tragedia se si sapeva guardare bene negli occhi di Federico non è mai scomparso per tutta la vita.
Ma vent’anni dopo la sua sorellona di Rimini, la ‘Sequoia’ come la chiamava lui, da alla luce una splendida bambina di quattro chili e mezzo, con gli occhi verdi e i capelli tiziani.
La mamma mi raccontò cosa aveva esclamato lo zio Chicco vedendomi la prima volta: “Che bella questa bamboccia, è nata con la ruggine, perché è stata lì per dodici anni”.
Ero nata dopo diversi anni di matrimonio e fui subito ‘figlioccia’ di Federico, mio padrino al battesimo insieme a zia Getta.
I miei capelli tizianeschi, gli occhi verdi e le guanciotte rubizze non potevano non sollecitare il suo spirito di grande caricaturista, che coglieva dalla realtà delle cose l’intensa armonia che governa il sogno. Così ispiravo il ‘gigante buono’ che mi ritraeva come un personaggio dei fumetti.
Gli piaceva disegnarmi con una mantellina che lui stesso mi aveva regalato e che sembrava quella dei carabinieri: blu con le strisce rosse sulle spalle. Quel disegno lo intitolò ‘La Fellinette’.
Quando tornava a Rimini mi prendeva e mi portava da Scacci, il negozio di giocattoli più antico della mia città. Fra i tanti regali ricordo un teatrino con una scatola di burattini, di quelli che si infilano con le manopole. Giocavamo insieme creando storie buffe e personaggi fantastici.
Per me lo zio Chicco era l’uomo dei sogni: grande e magico. Di certo ha influito sulla mia creatività. La prima volta che ho messo il nasino nel mondo della ‘celluloide’ fu all’età di 8 anni, al Teatro 5 di Cinecittà,il teatro più grande d’Europa.
Lo ricordo bene: Federico stava girando ‘Amarcord’ pellicola entrata a fondo nella cultura italiana, tanto da fare del titolo un neologismo.
Amarcord è il film che ho amato di più.
Fu lì che cominciai a capire che il mio zio Chicco, non era solo un compagno di giochi, ma un ‘vero signore’ dei propri set.
Dirigeva con sicurezza la troupe, spiegava le espressioni agli attori, mostrava alle comparse come muoversi. Esattamente come faceva da bambino con il suo teatrino dei burattini che la nonna Ida gli regalò.
Un modo di essere e vivere il ruolo di “director” tutto particolare.
Con lui ho passato molto tempo a tavola. Era un buongustaio: un gourmet della vita e della buona tavola. Anche zia Giulietta era una gran gourmet e per il suo Federicone cucinava sempre quantità industriali di minestrone, tagliatelle al ragù, e il pollo alla diavola. Soprattutto era bravissima a fare la moltiplicazione dei pani, dopo la solita telefonatina delle 21: “…Giuliettina, non siamo in quattro questa sera ma quindici”.
Mi spiace da matti non aver neanche uno dei tovaglioli che disegnava al ristorante tra una portata e l’altra preso dalla sua inesauribile creatività, lasciandoli come omaggio poi ai suoi commensali.
Non gli ho mai chiesto niente, eccetto un consiglio dopo il diploma di liceo linguistico : quale strada intraprendere nella mia vita.
Per la mia innata e incontinente curiosità mi consigliò di laurearmi in lingue e letterature straniere, di imparare ad usare bene il computer e di diventare una giornalista.
Ho seguito il suo consiglio: ho preso la Laurea e sono diventata una giornalista radio televisiva.
Quando sono nata, lo zio Chicco aveva 45 anni e già tre Oscar sulle spalle, veniva considerato il Re del cinema mondiale, con l’uscita nelle sale di ‘Giulietta degli spiriti’, lo zio Federico adotta per la prima volta il colore.
Mi piace poter dire che nell’anno della mia nascita Fellini diventa a colori !
Per Federico il 1965 è un anno pervaso dalla Magia e dal Mistero.
Nella primavera del ’65 incontra:
– lo scrittore Dino Buzzati
– il Maestro spirituale Gustavo Adolfo Rol.
Federico disse di lui: “L’uomo più sconcertante che io abbia incontrato. Sono talmente enormi le sue possibilità, da superare anche l’altrui facoltà di stupirsene» e Rol dal canto suo così lo raccontava: “Per descrivere Fellini dovrei affidarmi a tre parole : genialità, intelligenza, bontà. Ma mi limiterò solo ad una : IMMENSO.”
– Muore il suo psicanalista il prof. Ernst Berhnard (colui che lo ha spinto a scrivere il Libro dei Sogni) e Federico disse:….”Mi piaceva tutto di Bernhard: la strada dove abitava, l’ ascensore che sembrava una stanza e saliva lento come una mongolfiera, e lo studio vasto, pieno di libri, con le finestre spalancate sui tetti di piazza di Spagna. Ascoltava le mie sgangherate confessioni, i sogni, le bugie, con un sorrisetto gentile, carico di affettuosa ironia…”.
– Scrive la sceneggiatura cinematografica del ‘Viaggio di G. Mastorna’, il viaggio nell’Aldilà che non vedremo mai.
– Incontra a New York il papà dell’Uomo Ragno, di Hulk, il papà degli eroi della Marvel, il grande fumettista americano Stan Lee e nasce tra di loro una grande amicizia
Una delle favole che mi piaceva di più era ‘La Bella addormentata nel bosco’. Le tre fate Madrine buone, con i loro doni per la principessina Aurora. Mi piace pensare che la mia ‘Fata Madrina’ lo zio Federico, sulla mia culla, quando sono nata a Bologna mi spruzzò in dono, una polvere di passione per il Mistero.
Purtroppo non ho mai incontrato Gustavo Rol, del quale lo zio Federico mi aveva sempre tanto parlato.
L’ho solo sentito una volta al telefono pochi giorni prima della morte dello zio Federico.
Lui chiamò a casa mia a Rimini e mi cominciò a dire che vedeva Federico mentre era in coma sospeso nella sua camera di terapia intensiva del Policlinico Umberto I° a Roma, come un palloncino legato ad un filo.
Si domandava perché Federico e Giulietta se ne dovessero andare così presto. Che lui avrebbe dato la sua vita in cambio di queste due creature che amava tanto.
‘Non riesco a fare nulla per loro’. E poi mi disse: ‘ Francesca è successo qualcosa di molto materiale a tuo zio Federico che gli ha abbreviato la vita. Molto materiale.’
Senza spiegarmi cosa.
“Ero convinto che Federico avrebbe vissuto ancora alcuni anni. Mi dispiace per loro.”
Federico passò dal coma alla morte di lì a pochi giorni e la sua amata Giuliettina, l’unica donna degna di stare vicina al lui, lo seguì dopo 5 mesi nel marzo del ’94 mentre Rol morì sei mesi dopo.
Un giorno Federico mi raccontò di una seduta spiritica alla quale aveva partecipato, a Treviso. Il medium con voce soffiata cominciò a raccontare episodi dell’infanzia di Federico che solo il padre Urbano poteva conoscere. Poi lo invitò a fargli una domanda. E Federico chiese: “A che cosa può assomigliare la condizione di quando termina la vita? “La risposta fu suggestiva: “E’ come quando in treno di notte, lontano da casa, pensavo a voi, in una specie di opaco dormiveglia, di semincoscienza, col treno che mi portava sempre più lontano.”
Cosa ho invidiato allo zio Chicco?
Un amico così speciale come Gustavo Rol, un’anima bella, che più e più volte l’ha traghettato in altre, superiori dimensioni.
Cosa ho ereditato dal mio zio Chicco?
La passione per il lato nascosto delle cose, i mondi sottili, e l’Aldilà.
A 70 anni (era il 1990) andò in Giappone con zia Giulietta a ricevere il più alto riconoscimento internazionale nel mondo delle arti: il Praemium Imperiale gli riconosceva “il contributo decisivo al progresso dell’arte cinematografica, sempre unanimemente riconosciuto”.
In quell’occasione incontrò due imperatori: quello vero, Akihito, che lo accolse nella sua residenza ufficiale a Palazzo Akasaka e Akira Kurosawa, suo collega, soprannominato imperatore del cinema giapponese che lo invitò a mangiare sushi, al famoso ristorante Ten Masa, seduti su un tatami, scalzi.
L’imperatore Akihito gli aveva detto: “Questo Premio che le consegno è in nome di una moltitudine invisibile”. E lui commentò: “…Certo che come figlio di un commesso viaggiatore, oriundo di Gambettola, non posso proprio lamentarmi del cammino che ho percorso”.
Parlando della sua fama riusciva a dire: «Felliniano: avevo sempre sognato, da grande, di fare l’aggettivo».
Essere l’ultima Erede per DNA di una Famiglia così importante è un Onore ed un Onere.
Vorrei concludere citando il famoso postulato di Lavoisier: ‘Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma’ che lo zio Chicco ha rivisitato così: ‘ Nulla si sa, tutto si immagina”.
Mi sento di dire a nome di tutta la Famiglia Fellini : grazie NONNA IDA !
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