I meravigliosi 80 anni di un Tropicalista
di Marco Molendini
Un giorno, svariati anni fa, Caetano Veloso disse all’amico di una vita, Gilberto Gil : “sai, mi piacerebbe smettere”. Gil lo fissò negli occhi, coi suoi occhi tondi, ricchi di una grazia tutta baiana, e con uno sguardo deciso minacciò: «Se lo fai, smetto anch’io». Non hanno smesso: “Gil, per me, è l’essenza stessa della musica, ho dovuto obbedirgli», commentò Caetano il giorno in cui mi raccontò dell’episodio.
Cosi tutti e due, sono ancora in pista parte cospicua di una generazione che ha cambiato il suono della musica e che ha in Bob Dylan, Paul McCartney, Mick Jagger i frontman più popolari e nei due ragazzi di Bahia il manifesto migliore del Brasile contemporaneo. Due padri costituenti dell’estetica tropicalista, cantautori, ma anche riferimento continuo nella vita del paese, un caso unico di intellettuali popstar, liberi e moderni.
Gil compie 80 anni, circondato dalla sua tribù musical familiare, un mese e mezzo prima dell’amico e va subito in concerto aprendo stasera il suo tour europeo in Germania (poi il 9 luglio sarà a Umbria jazz). È passata una vita dalla prima traversata atlantica, quando i generali lo cacciarono dal paese mandandolo in esilio col suo amico e collega fraterno Caetano, perché colpevoli di aver inventato una rivoluzione culturale. È tornato decine e decine di volte, l’ho visto quasi sempre dal giorno in cui apparve come un folletto sul palco del TeatroSistina, ospite dello show di Maria Bethania. Ho amato la sua musica, siamo diventati amici, è stato e sempre sarà una presenza fondamentale nella mia vita.
Mi piacciono la sua semplicità, la sua razionalità, il suo candore, la sua intelligenza, il suo talento spontaneo ma coltivato, la sua ostinazione nel cercare un filo di Arianna nel labirinto della negritudine, a caccia delle sue origini (a proposito, Gil scoprì di essere negro solo quando la famiglia si trasferì a Salvador da Bahia, e in collegio i compagni lo bollarono come negro). Un territorio che va dal Nordeste del Brasile all’Angola, alla Giamaica (ha trasformato in un successo brasiliano “No woman, no cry di Marley”), al Sud Africa, agli Stati Uniti della black music. Una profonda linea nera caratterizza la sua storia di uomo. E Gil non ha fatto altro che tenerne conto anche quando il presidente Lulalo chiamò, proponendogli di diventare ministro (quel giorno, quando la telefonata arrivò, eravamo in macchina insieme per le strade di Roma). E’ rimasto sei anni, Gil a Brasilia, lavorando come un matto, utilizzando il potere per dare dignità e orgoglio alla cultura del proprio paese, girando da un punto all’altro del mondo, unendo, con l’Africa come baricentro, gli indios dell’Amazzonia agli aborigeni australiani, facendo leva sul suo carisma artistico capace di coinvolgere, l’allora segretario dell’Onu, Kofi Annan, facendolo sedere alle percussioni in mezzo alla sua band, in un concerto dentro il palazzo delle Nazioni Unite.
Poi, finita l’avventura politica (che lo ha separato dalla musica come mai era successo prima), ha fatto ritorno alla sua missione profonda di navigatore e esploratore di suoni e di ritmi, con la prospettiva di non allontanarsi mai più, pronto a sfidare l’avanzare del tempo. Anni fa ha provveduto anche a esorcizzare la paura della fine con una canzone, “Nao tenho medo di morrer” (Non ho paura di morire) che si conclude con un verso ironicamente fatale: “dovrò morire vivo/sapendo che me ne vado”.
La testimonianza più esplicita della sua vitalità sono i concerti, racconto autobiografico di un talento travolgente e di una gioia della musica che è la stessa di quella prima volta, quasi mezzo secolo fa, quando sbucò sul palco del Teatro Sistina con tutta la sua energia tropicale.
Auguri Gil.
L’allora Ministro della Cultura di Lula nel 2003, Gilberto Gil, mentre suona “Toda menina baiana” con l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite e Premio Nobel per la Pace, Koffi Annan.
Marco Molendini – BIO
Giornalista e critico musicale di lunga esperienza, è una delle firme di punta de “Il Messaggero”, di cui è stato redattore capo del servizio spettacoli dal 1981 al 1995. Nato a Bologna e residente a Roma è stato conduttore su Radio Rai di programmi dedicati al jazz, dal 1982 al 1992, collaboratore per programmi sul jazz di Raisat prima e poi di Rai 5, è anche autore di libri: una biografia di Frank Sinatra, una di Caetano Veloso, un doppio racconto sul rapporto fra Veloso e Gilberto Gil dal titolo “Fratelli Brasile” e del libro fotografico “Le strade del cinema portano a Roma”. È stato autore televisivo del programma di Raiuno “Speciale per me” di Renzo Arbore. Insegna al Master di critica giornalistica dell’Accademia d’arte Silvio D’Amico.
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