Di Tempo e Relazione
Mosè Franchi
E’ una strana pratica, quella della fotografia: vive di tempo (la luce non basta!) e muove i propri passi nella relazione. Un fotografo ha bisogno di soggetti e storie, senza i quali la sua professione non beneficerebbe dell’indispensabile materia prima, già dal click.
Il concetto appare semplice, persino banale; ma fa esplodere il suo significato nelle parole che Franco Turcati è riuscito a dedicarci durante i vari incontri con lui, nella Torino dove abita. Di volta in volta, ci è sempre apparso come una persona solida, gentile, giovanile, sorridente, attenta, capace di contribuire, ma anche (soprattutto) d’ascoltare. Parlare di fotografia con lui in ogni occasione ha sempre significato allargare gli ambiti del discorso. Certo, non ha mai disatteso la nostra curiosità per gli strumenti, le fotocamere di un tempo; nel dialogo, però, si è sempre proiettato altrove: dove ai “quando” e ai “come” ha continuamente aggiunto un valido “perché”.
Anche qui tutto pare semplice a realizzarsi, ma il senso dello scatto assume connotati nobili e audaci al tempo stesso. Quel click, spesso agognato con orgoglio, non pronuncia con Franco il senso dell’essere, bensì quello più ampio dell’esistere. Come dire, con i suoi lavori il nostro non afferma semplicemente “io sono”; ma con eleganza e gentilezza proclama: “io esisto”.
E qui si comprende come l’orizzonte fotografico si sia allargato, in ampiezza; perché, non dimentichiamolo, la storia siamo noi, con anche il racconto che ne consegue. La dote che possiamo offrire alla fotografia parte dal nostro esistere. E’ lì che incontriamo i racconti della nostra prossimità, le sfumature, i simboli; e Franco li ha sempre cercati con assiduità e rigore, senza fermarsi mai.
C’è un “prima” e un “dopo” nella fotografia del nostro, dicevamo, un “perché”; ma anche un “durante”: un filo rosso che lega tutta l’esistenza che gli appartiene. Della propria esperienza lui non ha buttato via nulla. E la fotografia? E’ sempre rimasta al centro, anzi: forse ha funto da collante tra le tante qualità che sviluppava e accantonava, senza buttare via nulla. A osservare le immagini che ci propone, ne emerge uno stile; che non è quello omologabile, bensì un altro: riconoscibile nella ricerca estetica e pure nel rigore, nello sguardo allargato a cogliere i contesti, in una contaminazione continua che viene dall’arte, nonché da un’osservazione attenta degli ambiti sociali, comportamentali, del tempo che stava vivendo, accentuando le capacità relazionali.
Nella carriera di Franco Turcati arriva anche la comunicazione. Questo non deve sorprendere, anche se sarebbe troppo facile circoscrivere il tutto in ambiti unicamente commerciali. Il fotografo autore divulga le proprie immagini, ne è ambasciatore. Un po’ tutti i grandi del passato si sono comportati in tal senso, anche se con strumenti differenti. Ci vengono in mente lo Scrapbook di Bresson, gli album familiari di Lartigue o l’enfasi di Capa: anche loro comunicavano, sempre nei termini relazionali.
Una volta svelato il segreto di Franco, è bello ripercorrerne la vita. Studia da solo, il nostro fotografo, immergendosi anche in ambiti non suoi, come la chimica dell’E6. Cambia la vita sul più bello, quando una carriera commerciale gli propone un futuro solido e definito. Il resto, in fotografia, pare avvenire automaticamente, quasi senza sforzo; ma Franco è già pronto, consapevole, aggiornato e soprattutto avvezzo al nuovo. L’attrezzatura? Ha usato un po’ tutto, dal grande fino al piccolo formato, delegando allo strumento la fiducia necessaria; quasi che la fotocamera fosse in grado di continuare uno sviluppo proprio, nella forma e nel linguaggio.
E oggi? Franco è sempre lui. Anche quando dialogava con noi apriva la “cassetta degli attrezzi”, rianimando gli strumenti necessari. E’ pronto, Franco, a ripartire in ogni momento con l’agognato click. La sua relazione è ancora viva e aspetta solo il tempo: quello che gli appartiene da sempre.
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