Nicoletta Del Buono, figlia di OdB, li ricorda così
Federico Fellini non l’ho mai conosciuto di persona, ma solo attraverso il filtro di mio Padre, Oreste del Buono, in arte OdB. In ogni caso, della loro amicizia non ho molti ricordi. Più che altro flash emozionali. Quello che mi è rimasto più impresso risale al 1976 o al 1977. Era notte fonda. Un giorno d’inverno. Credevo che papà e mamma dormissero, ma quella volta dalla sala filtrava una luce fioca. Impossibile, perché mia madre le luci le spegneva tutte con puntigliosità prima di andare a letto o sollecitava me e mio padre a farlo quando alle undici scattava il coprifuoco domestico. Però la luce c’era davvero e c’era anche un bisbiglio a filtrare dalla porta socchiusa. OdB parlava al telefono. “Smettila si chiamarmi Orestino, lo sai che mi manda in bestia. Così come quando chiami Linus, Lainus”. Chi c’era dall’altro capo del filo? Un’amante o un amico di quelli di cui non voleva farci sapere, a me e alla mamma. Ero affascinata e inquieta, sospettosa, sentivo solo la voce attenuata di papà, il suo interloquire era ora stizzito, ora amicale. Alla fine non mi trattenni più, scostai la porta, infilai il capo nella stanza. “E che cav…Nicolina”, disse lui che in famiglia aveva bandito le parolacce. “Che vuoi a quest’ora? Neanche di notte si è liberi in questa casa…”. “Con chi stai…”, mi azzardai a chiedere. Mi interruppe bruscamente, seccato.“Non ti deve importare con chi parlo. E comunque è Fellini. Lui soffre d’insonnia e a me bastano due ore di sonno. Ci facciamo compagnia così, noi due soli nella notte”. Feci ritirata e li lasciai alla loro conversazione, rimasi però a origliare, colsi dei brani, discutevano di una scena tagliata del film Casanova. Interessante. “Beh, ancora non capisco perché l’hai fatto, Casanova che si fa sedurre da un emiro nero, anzi moro, era una sequenza molto sensuale. E poi la scenografia monumentale di Donati, il canale, la zattera su cui i due s’intrattenevano, chissà quanto è costato”. Una pausa, poi di nuovo OdB. “Quattrocento milioni, porca miseria, non ci crederò mai che sono stati i produttori americani a importi il taglio perché sennò il film diventava troppo lungo, sei il solito ‘gran bugiardo’. Lo sai, la scena l’ho vista con te in moviola, dura tre minuti e spiccioli, non è quello che cambiava le cose. Di’ la verità, hai avuto paura perché si parla di omosessualità (va bè, la parola era un’altra), per di più di un mito etero come Casanova”. Ancora pausa. Poi: “Calmati un po’, Federico, e smettila con ‘sto Orestino. Lo so, lo so che la scena c’è nelle Mémoires e proprio per questo, a mio avviso, doveva esserci nel film…E tu Nicolina, non ascoltare, lo so che sei dietro alla porta. Fila a letto”. Avevo 24 anni, ma per certe cose OdB mi trattava ancora come una bambina.
Gli altri ricordi dell’amicizia tra mio padre e Fellini sono più sfumati e ancora più indiretti. Alcuni perché risalgono all’infanzia o alla prima adolescenza. Di quel tempo, forse il 1964, rammento certi giorni che tempestava sui tasti dell’Olivetti 32 tenendo tra le labbra un sigaro, un po’ come Federico quando dirigeva Otto1/2. Stava scrivendo un libro sul regista riminese e, mi confidava, voleva calarsi nel suo personaggio. Il volume uscì nel 1965 e oggi è introvabile, quanto a me purtroppo non sono mai riuscita a trovarlo nel suo disordine e men che meno a leggerlo.
Sempre in quel periodo o poco dopo deliziava me e la mamma ricostruendo con arguzia i suoi incontri con Fellini nella dimora di Fellini a Roma nel tentativo di intervistarlo. Missione impossibile. La casa non era lontana dall’aeroporto e non appena cominciava il botta e risposta un aereo decollava con fragore coprendo le loro voci, peraltro assai poco sonore. Allora il regista s’interrompeva facendo ruotare la mano come per dire “aspetta, riprendiamo appena finito il rumore”. Il problema era che gli aerei decollavano e atterravano un minuto sì e l’altro anche! Alla fine OdB scriveva su un bigliettino: “meglio sentirci stanotte”. Fellini sorrideva e annuiva.
Anni dopo, ai primi ’80, ci incontrammo invece nello studio dove si era trasferito con gran parte dei suoi libri che ora esondavano dalle pareti per mareggiare al suolo in una scenografia da inferno dantesco. Mi fece vedere dei disegni sognanti, baroccheggianti ed esplicitamente erotici. Sapendo che mi dilettavo di illustrazione mi chiese che cosa ne pensassi – a volte, per coinvolgermi nella sua vita da orso solitario, si divertiva a mettermi alla prova con questi scambi d’opinioni – “Fanno colpo”, dissi, “sono molto surreali, per il ductus e i colori mi fanno venire in mente certi disegni di Alberto Savinio”. “Secondo te come li recepirebbe il pubblico de l’Eternauta? Sono troppo intellettualistici?”. “Al contrario credo che ai tuoi lettori piaceranno molto. Certo incuriosiscono, è un Fellini che si sa esserci, ma non si conosce bene”. “Sai”, disse lui, “qualche tempo fa Federico mi ha confidato di averne tanti altri in una cartella che lui chiama ‘Il Libro dei Sogni”. A mio parere sarebbe fantastico poterli pubblicare tutti. Ma lui non ci sente, me ne ha dato solo qualcuno per l’Eternauta. In ogni caso ho la tua augusta benedizione se li metto sulla rivista? “. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti, replicai con facile ironia.
L’ultimo ricordo è il racconto che spesso OdB, quando ci si incontrava a pranzo, faceva della rabbia di Fellini contro la televisione commerciale e contro il Cavaliere Berlusconi che interrompevano i suoi film con la pubblicità. Era diventata una specie di tormentone, una scena da commedia brillante con un canovaccio reinventato ogni volta. Papà riportava il mantra che Fellini gli ripeteva nelle loro notti insonni: non si può interrompere l’emozione. “Ha ragione, i film non vanno interrotti, anche se poi, se li vedi al cinema, c’è sempre l’intervallo per i bibitari e i gelatai, almeno da noi. Ha ragione lui e come non dargliela quando sostiene che oramai dovremo anche accettare che durante un concerto il direttore si fermi su una nota e nel silenzio passi uno con un cartello che reclamizza un callifugo!’. Però mi mette in croce, perché a me gli spot piacciono e soprattutto mi danno da mangiare perché li recensisco. Ma guai a dirglielo”. E arrivato a quel punto cominciava a imitare affettuosamente la voce sottile e lenta di Fellini e mettendogli in bocca ogni volta un copione diverso…
Nicoletta Del Buono
Di formazione steineriana, laureata in lingue e letterature straniere, si è dedicata dapprincipio alle traduzioni, alla cura di collane editoriale e all’illustrazione di libri per l’infanzia e l’adolescenza (Favole di Cinema, Fiabe Inglesi, Fiabe Irlandesi). Si è poi specializzata nel racconto del mondo della produzione di arredi e complementi lavorando per house organ e per riviste quali Casa Vogue, La mia Casa, Donna Moderna e dal 1995 per AD, per cui ha curato, fino al 2020, i servizi e le rubriche incentrati sul mondo del mobile e le sue tendenze. E’ autrice di vari volumi tra cui Casa Mundi, La Casa Mediterranea, La Casa Orientale, Italian Home, Abitare a Venezia, Stefano Dorata. Architetture d’Interni. Immagini Emozioni, Podere Ascianello.
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