1. L’incontro fra due creatori
Federico Fellini amava particolarmente i disegni animati di Walt Disney, al quale lo accomunava lo spirito visionario. Dobbiamo immaginarcelo ragazzino, a Rimini, negli anni Trenta, immerso nell’atmosfera descritta poi in Amarcord (1973): un’atmosfera provinciale, mortificata dalla lugubre estetica del Fascismo, eppure ammantata di nostalgia. Il Fellini regista che conosciamo e amiamo si sarebbe servito, in seguito, delle suggestioni scenografiche del Regime, della sua finzione e della sua cartapesta. Ma a Rimini, al cinema Fulgor, arrivava anche Hollywood, che proponeva un sogno alternativo, radicalmente diverso, con film avventurosi e con i disegni animati di Topolino… Possiamo figurarci gli occhi di Federico mentre si beano delle immagini colorate che gli propongono un altrove e che lo educano a mostrare, non a dimostrare: è la linea coerente di tutta la sua poetica.
Prendiamo in considerazione un titolo significativo: nel 1935 arriva in Italia un cortometraggio con Mickey Mouse intitolato Band Concert, il primo in Technicolor, in cui una surreale banda musicale capeggiata da Topolino e composta da tutti gli animali umanizzati del circo disneyano, suona l’ouverture del Guglielmo Tell di Rossini e viene travolta da un uragano. Quel cortometraggio deve aver fatto una grande impressione al giovanissimo Federico. Moltissimi anni dopo, alcune delle sue suggestioni paradossali sembrano infatti riemergere con prepotenza nel suo film Prova d’orchestra (1979).
Vista in questa chiave, la conoscenza diretta di Walt Disney, l’artefice dei suoi miti infantili, che Fellini incontra personalmente negli anni Cinquanta, assume per il grande regista italiano il carattere di una verifica e di una rivelazione. Nel 1987, Fellini rievoca il suo incontro con il creatore di Topolino al giornalista televisivo Vincenzo Mollica in un’intervista fattagli per lo “Speciale Tg1” intitolato: ‘Walt Disney, due chiacchiere con Federico Fellini’. Nell’intervista, Fellini ricorda di essere stato accolto da Walt Disney con grandissima cordialità a Disneyland quando, nel 1956, si era recato negli Stati Uniti, insieme a Giulietta Masina, in occasione dell’Oscar per il film La Strada (1954).
Conoscere di persona l’uomo che ha svolto un ruolo così importante nella sua prima formazione, anche se dopo un percorso artistico personale che lo ha condotto in territori divergenti, può essere una fonte di profonda delusione e di dis-incanto, cioè, letteralmente, di perdita dell’incanto primigenio. Ci piace immaginarci Federico sospettoso, alla vigilia: ma il grande regista ha occhi diversi dai nostri, vede un altrove che noi, miopi mortali, non riusciamo a cogliere. Forse, la magia di quell’incontro la possiamo appena intuire nella re-invenzione fumettistica dell’episodio, opera quindi di artisti che, più di altri, sono in grado di osservare il mondo con occhi allo stesso tempo adulti e infantili: è il caso della rievocazione dell’evento offerto dalla storia a fumetti Topolino presenta “La Strada”, scritta da Massimo Marconi e disegnata da Giorgio Cavazzano nel 1991.
La chiave del sogno a occhi aperti, come avviene sempre, è nelle parole di Federico. Nell’intervista con Mollica, Fellini osserva
che nei lungometraggi disneyani si respira un’atmosfera gotica, quasi horror, e cita a questo proposito il personaggio della Regina-Strega Grimilde in Biancaneve e i Sette Nani (1937) e la sequenza di Pinocchio (1940) con la trasformazione del burattino e di Lucignolo in due ciuchini, che rimanda al film di Rouben Mamoulian Il Dr. Jeckyll e Mr. Hyde (1931). Ma il culmine dell’horror disneyano, sempre secondo Fellini, si ha in Fantasia (1940), nell’episodio dedicato a La notte sul Monte Calvo di Modest Mussorgskij, per la potenza apocalittica e l’espressività di Chernabog, l’enorme creatura diabolica del folklore slavo, opera del mago dell’illustrazione Kay Nielsen, di origini danesi, e animato dall’artista di origini ucraine Vladimir Tytla.
Molto probabilmente, le suggestioni riminesi al Fulgor riaffiorano nella memoria di Fellini e il cerchio si chiude: Fellini è cosciente che l’horror e il grottesco inquietante sono i veicoli più coinvolgenti per ammaliare lo sguardo infantile, e che solo facendo rifluire nei suoi film queste componenti dell’immaginario – tradotte in una versione più adulta – è in grado di entrare in contatto con gli strati psicologici profondi dello spettatore e suscitare così la sua meraviglia.
2. Fantasia, ovvero Concert Feature
Fantasia – che doveva chiamarsi originariamente Concert Feature, ossia “Concerto filmato”, mentre il titolo attuale significa, in termini musicali, “composizione libera” – è il lungometraggio di Disney forse più vicino alla sensibilità felliniana, per il suo carattere fortemente onirico e per la precisa volontà di sperimentazione cinematografica.
Il film fu costruito progressivamente intorno al poema sinfonico di Paul Dukas L’apprendista stregone (interpretato da Topolino), basato a sua volta sulla ballata omonima di Wolfgang Goethe. In questa circostanza, Mickey Mouse ebbe un restyling grafico e fu dotato di pupille da Fred Moore, mentre, per caratterizzare lo stregone che compare nell’episodio, gli animatori si ispirarono ai tratti dell’attore Nigel De Brulier. Tuttavia, l’atteggiamento demiurgico del personaggio allude allo stesso Walt Disney, così come il suo nome: Yen Sid (Disney pronunciato al contrario).
Ecco dunque tornare alla ribalta il Mago, il demiurgo: è difficile resistere alla tentazione di pensare al giovane Fellini quando, nell’immediato Dopoguerra, può assistere per la prima volta alla proiezione di Fantasia e prova, molto probabilmente, un senso di immedesimazione. Anche lui è come Disney: muove i suoi personaggi, ne disegna personalmente i bozzetti. Come Disney, Federico è disegnatore umoristico, vignettista, fumettista, prima nella Firenze immediatamente prebellica e poi nella Roma del 1945. Come Disney, Federico Fellini è un Mago: è Yen Sid.
Fantasia, alla fine, comprende ben otto pezzi di musica classica tradotti in disegni animati, che dimostrano le potenzialità davvero senza limiti dell’arte dell’animazione disneyana, in grado di spaziare dal naturale al sovrannaturale. Non a caso, il segmento dedicato a La sagra della primavera di Igor Fëdorovič Stravinskij, racconta la formazione della Terra e l’avvento dei dinosauri, mentre la versione in immagini della Sinfonia n. 6 Pastorale di Ludwig Van Beethoven dà vita ai personaggi della mitologia greca e agli dei dell’Olimpo, raffigurati nello stile dell’Art déco.
Per queste caratteristiche Fantasia resta, indubbiamente, il lungometraggio disneyano più ambizioso, nonché lo sbocco quasi inevitabile delle ricerche sul rapporto fra musica e immagine che hanno sempre contrassegnato la produzione di Walt Disney a partire dalle Silly Symphonies degli anni Trenta. Alcune soluzioni visive, come quelle proposte nell’episodio astratto della Toccata e fuga in re minore di Johann Sebastian Bach, ispirato agli effetti speciali dell’animatore e pittore tedesco Oskar Fischinger, hanno influenzato in profondità la successiva storia del cinema, non solo d’animazione.
3. Un’opera d’arte totale
Dunque, l’accostamento tra Walt Disney e Federico Fellini non è affatto improprio, come potrebbe forse sembrare prima vista. È vero: Federico dirigeva personalmente i suoi film, mentre Disney non svolgeva la funzione di regista e delegava ad altri la direzione dei suoi lungometraggi. Tuttavia, erano entrambi dei demiurghi: Biancaneve, Pinocchio o Fantasia – al pari delle pellicole felliniane – portano il marchio indelebile della personalità di un unico grande artista.
Il fatto è che il creatore di Topolino si serviva di abilissimi collaboratori ma, almeno nel caso dei suoi primi lungometraggi, concepiva nella sua mente la struttura dell’intera pellicola, scena per scena, prima ancora di realizzarla. Disney, per esempio, in una memorabile story-session del 1934, annunciò agli animatori del suo Studio il progetto di Biancaneve e i Sette Nani descrivendo le sequenze del lungometraggio nei minimi dettagli, così come le immaginava rappresentate sullo schermo, e mimando tutte le parti dei numerosi personaggi.
I film di Walt Disney sembrano così confermare le tesi estetiche di Benedetto Croce, secondo il quale un’opera artistica consiste essenzialmente nell’espressione interiore, mentre la sua estrinsecazione tecnico-materiale – che nel caso di Disney era affidata ai suoi disegnatori – è solo un mezzo occasionale che consente anche ad altri di rivivere l’intuizione che si è prodotta originariamente nello spirito dell’artista.
la produzione di Fantasia è comunque vero che Disney, rispetto a Biancaneve, lasciò moltapiù libertà d’intervento al suo staff, e in particolare a chi era più competente di lui in ambito musicale. Infatti, si affidò a un team che potesse selezionare i brani di musica classica più interessanti e coinvolse, oltre ai suoi storymen di fiducia Joe Grant e Dick Huemer, il celebre direttore dell’orchestra di Filadelfia Leopold Stokowski e il critico e compositore Deems Taylor, che avrebbe poi svolto il ruolo di presentatore dei vari segmenti musicali.
Tuttavia, anche Fantasia è frutto di un’intuizione personalissima di Disney: la realizzazione di un’“opera d’arte totale”, analoga a quella concepita in passato da Richard Wagner nella sua tetralogia L’anello del Nibelungo, in cui il musicista tedesco intendeva recuperare lo spirito dell’antico teatro greco di Eschilo e di Sofocle, fondendo insieme musica, drammaturgia, coreutica, poesia e arti figurative. Disney, dal canto suo, avrebbe voluto creare un film “sinestetico” che consentisse non solo di “vedere il suono” attraverso una danza di forme e colori, ma anche di coinvolgere tutti i sensi, unendo immagini visive, musica – diffusa secondo l’innovativo sistema stereofonico del Fantasound, introdotto per simulare l’esperienza di un concerto – e persino profumi, dato che il suo progetto originario prevedeva di spargere essenze profumate diverse a ogni episodio del lungometraggio.
L’ispirazione “wagneriana” di Fantasia è confermata dal fatto che Disney, anche dopo il fallimento commerciale del film e l’ingresso degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale contro la Germania, non aveva del tutto rinunciato a concepire il suo lungometraggio come un’opera “aperta”, cioè da proseguire nel tempo, e nel 1941 aveva affidato a Kay Nielsen, Bill Wallett, Sam Armstrong e Sylvia Holland il compito di realizzare un ulteriore episodio musicale, visualizzando proprio la Cavalcata delle Valchirie da La Valchiria di R. Wagner, nello stile grafico espressionista di Una Notte sul Monte Calvo.
Il progetto di un work in progress, rilanciato ogni anno con segmenti inediti, purtroppo non andò in porto e Disney preferì produrre successivamente film a episodi basati su linguaggi musicali più popolari e più moderni rispetto a quelli proposti in Fantasia, come Musica Maestro (1946) e Lo scrigno delle Sette Perle (1948). L’utopia di Disney ha comunque ricevuto un omaggio nel film a disegni animati Fantasia 2000 (1999), voluto fortemente da Roy Edward Disney, nipote di Walt.
In conclusione, non c’è sostanziale differenza, a nostro parere, fra lo Studio disneyano di Burbank e i grandissimi artigiani di Cinecittà, che hanno materializzato i sogni di Fellini per i suoi film, anche i più estremi. Infatti, i collaboratori del regista della Dolce vita (1960) non sono altro che gli analoghi italiani dello staff di Burbank, e cioè degli animatori, degli inchiostratori, dei semplici intercalatori disneyani… Se Walt Disney seguiva personalmente tutte le varie fasi della lavorazione dei suoi film, per salvaguardare quella stretta unità stilistica che era la caratteristica essenziale del suo Studio, da lui controllato – com’è stato scritto – allo stesso modo in cui i Maestri del Rinascimento dirigevano la loro bottega, la stessa cosa si può dire di Fellini. Anche Federico Fellini era il vertice e l’unico ideatore di una vera e propria piramide creativa, di una grande troupe che allestiva un circo dei sogni, fatto di cartapesta, di celluloide, di luci e di inganni.
Leonardo Gori e Andrea Sani
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Disegno di Federico Fellini
Leonardo Gori è nato a Firenze il primo gennaio del 1957, ma gli secca doverlo ammettere.
Scrive romanzi per TEA libri (gruppo GEMS), con un personaggio che salta allegramente fra “generi” diversi: spionaggio, avventura, giallo, storie sentimentali. Si chiama Bruno Arcieri ed è un capitano dei Carabinieri prestato ai Servizi Segreti.
Quando non scrive, Gori fa il farmacista, legge fumetti, guarda film d’epoca, ascolta musica jazz. Evita accuratamente i saccenti e i cretini, ma è dura, e dubita sempre di se stesso. Adora Fellini (ebbene sì), Frank Capra, Billy Wilder, Mario Camerini e tanti altri registi; ama Fred Astaire & Ginger Rogers, Louis Armstrong, Duke Ellington, Disney…
Se deve citare un libro, lo fa con due: “Il giardino dei Finzi Contini” di Bassani e “La talpa “ di Le Carrè.
tealibri.it/serie/il-ciclo-di-bruno-arcieri
www.leonardogori.com
Andrea Sani
È nato a Firenze il 19 aprile 1953, ha una moglie e una figlia
Ha insegnato 35 anni storia e filosofia nei licei fiorentini
Attualmente si occupa di filosofia, di cinema e di fumetti scrivendo libri e saggi
Quando non scrive, guarda la tv, legge, passeggia osservando i cantieri (da bravo umarell) e scambia le sue opinioni con gli amici
Cosa gli piace: i libri di J. L. Borges, i film di S. Kubrick e i fumetti di E. P. Jacobs, di C. Barks e di R. Scarpa
Non ama: chiunque parla o scrive in modo oscuro, pensando così di essere più profondo
Il film rivisto più volte: Sentieri selvaggi di J. Ford
L’artista musicale preferito: i Beatles
Il libro: Il ritorno di Casanova di A. Schnitzler
Il fumetto: S.O.S. Meteore! di E. P. Jacobs
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