L’Infaticabile Scultore
di Giulia Palloni
Elio Morri è nato a Rimini il 3 maggio 1913, da Ester Cappella e Ferruccio, ferroviere del borgo sant’Andrea.
Già sui banchi di scuola, manifesta una peculiare inclinazione a modellare nella creta statuine di animali e ad abbozzare la testa dei compagni con la mollica di pane. Così il padre, preoccupato per la scarsa attenzione del fanciullo allo studio, lo spedisce giovanissimo a bottega da Filugenio Fabbri, noto cementista-scultore della città, autore della Fontana dei Quattro Cavalli che allora troneggiava davanti al Kursaal (oggi Piazzale Fellini). Riconoscendone le doti, Fabbri indirizza il ragazzo alla professione di scultore. Il suo percorso formativo successivo avviene tra le Accademie di Torino, Ravenna e Bologna, dove si diploma nel 1933.
L’anno seguente apre il suo primo studio in via Giordano Bruno (distrutto dai bombardamenti del 1943-44) e inizia a partecipare a mostre assieme agli altri artisti riminesi, ben più anziani e affermati di lui (E. Curugnani, L. Pasquini, E. Pazzini), ottenendo immediatamente notevoli apprezzamenti sulla scena locale, dapprima solo in qualità di ritrattista (Ritratto di Addo Cupi, bronzo, 1935. Torino, collezione Cupi).
Nel 1937 vince il concorso nazionale per un pensionato biennale alla Scuola d’Arte della Medaglia presso la Zecca dello Stato a Roma e durante questi anni (1938-39), allaccia amicizie e frequentazioni con l’avanguardia artistica e la comunità di riminesi di stanza nella Capitale, fra i quali c’è anche il giovane Federico Fellini, trasferitosi a Roma dal ’39, con cui peraltro Morri condivide l’indole da caricaturista (Autocaricatura del 1935 è distrutta; Caricatura del busto di Titta Benzi, bronzo, Rimini, collezione M. Benzi). È lui, a detta del grande regista «tra i primi, con il suo […] esempio di creativo, a suggerirmi che l’avventura della espressione artistica poteva essere anche la mia strada». Così Fellini ricorda lo scultore (in un telegramma inviato alla moglie Enza) dopo la sua scomparsa. Di lì a pochi mesi, morirà a Roma anche il regista.
Curioso, irrequieto, saturnino, artista fin nel midollo, Elio Morri, a differenza di Fellini, dopo la guerra nella sua Rimini è voluto tornare, eleggendo la sua amata città a musa ispiratrice per buona parte delle sue opere. Ha partecipato a numerose esposizioni collettive (dal 1935 al 1986) e ottenuto diversi riconoscimenti, ma ha forse rinunciato a quel salto verso una maggiore notorietà.
A Rimini però lo conoscevano tutti, ma proprio tutti: barattava ritratti in gesso in cambio della riparazione dell’auto con il meccanico (Ritratto di Elena Bianchi, 1976, Rimini, collezione P. Bianchi), oppure disegni acquarellati a tempera in cambio della risuolatura delle scarpe buone col ciabattino (calcolando evidentemente pari ore di lavoro). E in fondo non sorprende neppure, perché così Morri interpretava il suo ‘mestiere’, con quella passione e maestria da artigiano virtuoso e affaccendato.
Muore a Rimini il 14 gennaio 1992. La grande mostra retrospettiva dedicatagli nel 1993, con l’intento di catalogazione del suo immane lavoro, ha un elenco incompleto. Perché Morri non ha mai tenuto alcun rendiconto del proprio operato. Tutt’ora, di tanto in tanto, salta fuori una sua medaglia, o un manufatto firmato.
Nella sua vasta e multiforme produzione (grafica, incisoria, ritrattistica, scultorea), è stato un grande sperimentatore di mezzi, tecniche e linguaggi. Partito dalla tradizione scultorea d’impronta accademica è giunto a forme di stilizzazione estrema. Non a torto è considerato «il più grande artista riminese» del secolo scorso (M. Masini, “Il Ponte”, 12 giugno 1988).
Di indole forte e temperamento focoso, Morri ha attraversato quasi per esteso il nostro Novecento percorrendone tutte le fasi con infaticabile alacrità: da quella di stampo celebrativo, con i Busti dei personaggi illustri legati alla nascita della Rimini balneare e con il Monumento a Francisco Busignani del 1939 in piazza Ferrari, alla restaurazione dell’immediato dopoguerra, con la Via Crucis alle Grazie a Covignano (realizzata tra 1947 e1954), fino al Monumento alla Resistenza di Parco Cervi (1968-73) e alla Targa commemorativa in onore dei tre Martiri (1979) nell’omonima piazza. Monumenti emblematici della nostra storia collettiva.
Tutti a Rimini lo conoscevano. Non solo per la sua inesauribile creatività, pari solo alla bizzarria del suo carattere. C’era quel suo studio nel diroccato palazzo Maschi-Marcheselli-Lettimi (dell’inizio del XVI secolo) quasi leggendario, ingombro di disegni, schizzi, utensili di ogni genere e di opere sbozzate disposte su piedistalli malfermi e rabberciati, nel quale si infilavano gli artisti in villeggiatura, gli studiosi di passaggio (Arcangeli, Raimondi, Emiliani, Minguzzi), appassionati d’arte di ogni genere, o semplici curiosi.
Le sue opere sono disseminate un po’ ovunque, tra il centro storico e marina, nelle piazze, nel cimitero cittadino, sui frontali delle case, dei palazzi e delle chiese, dalla lunetta con il santo benedicente della Chiesa di S. Gaudenzo (1959-60) con il Crocifisso all’interno (del 1979), al Puer mingens della fontana addossata al Palazzo del Comune in Piazza Cavour (1974), al Miracolo della mula nella chiesa dei Paolotti, al fonte battesimale in quella della Colonnella.
Morri era capace di esprimersi sui materiali e i supporti più disparati (convenzionali o meno), purché fossero idonei ad assumere forma, funzione e significato desiderato dall’artista in quel mentre, nei vari stadi della sua formulazione: cera, cemento, gesso, creta, ceramica, legno, piombo, rame, bronzo, rete metallica, e persino polistirolo o cartone da imballaggio (quest’ultimo talvolta utilizzato da scheletro per fusioni bronzee poi mal riuscite: pazienza, intanto ci aveva provato); quindi anche carta, pastelli, tempere, gessetti, biro. Il suo modo di operare era sempre in divenire, senza norme, né regole.
Tutti a Rimini dovrebbero continuare a conoscerlo. Soprattutto ora, dopo una pandemia che ha fatto comprendere a ciascuno l’importanza dello spazio urbano come luogo di appartenenza e di memoria condivisa. Rimini ha senz’altro un debito di riconoscenza nei suoi confronti, non tanto, o non solo, perché ha dedicato gran parte della propria produzione artistica all’amore per la sua città, ma perché il suo infaticabile operato impronta di sé il nostro patrimonio pubblico (e in tanti casi anche quello privato). Elio Morri è stato l’artefice di un’intera epoca della nostra storia.
Bibliografia essenziale:
P.G. Pasini-G. Viroli, Le sculture di Elio Morri, Rimini, Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini (Rimini, Ramberti Arti Grafiche), 1993
L. Liuzzi-P.G. Pasini, Nello studio di Elio Morri., Rimini, Ramberti Arti Grafiche, 1996
A. Merli (a cura di), Elio Morri, Rimini, Raffaelli Editore, 2013
Giulia Palloni
Nata a: Rimini (RN) il 23/02/1973
Storica dell’arte
Esperta in: Arte del ‘600 e ‘700
Cosa gli piace: il mio compagno (ma non sempre), gli/le amici/amiche (quelli/e sì) e la mia famiglia, frequentare mostre, musei, teatri e cinema, camminare per le città con lo sguardo insù.
Non ama: gli indifferenti, le pubblicità, le falsità di ogni ordine e grado.
Il film rivisto più volte: Il Gattopardo di Luchino Visconti (Italia-Francia 1963)
L’artista musicale preferito: Aretha Franklin
Il libro: La variante di Lüneburg (P. Maurensig)
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Ricordando il Nonno Elio
di Maria Ilaria Mazzoni Morri
Per la prima volta ci viene chiesto di raccontare il nonno Elio da nipoti, ed ecco che affiorano tantissime immagini e sembra quasi di sentire i suoi passi frettolosi, di vedere il borsello di cuoio sul divano o la bici da corsa appoggiata con cura nell’ingresso.
La prima parola che ci viene in mente è “generoso”: il nonno lo era davvero e per noi.. le sue bambine.. correva ad ogni ora del giorno e della sera a comprare il gelato che naturalmente chiedevamo nel bel mezzo di una partita o del film che stava guardando. Non riusciva mai a dirci di no ed era il suo sorriso forse… a farci sentire autorizzate ad approfittarne.
Le immagini impresse nella memoria sono quelle della quotidianità, delle lunghe estati trascorse a Rimini: l’andirivieni dal suo laboratorio a tutte le ore, le visite improvvisate in studio. Al nostro arrivo il nonno ci accoglieva con gioia e con infinita pazienza rispondeva a tutte le nostre domande.
Appena arrivate salivamo su una scala di legno che dava accesso ad un soppalco pericolante, li si trovava la creta fresca con cui giocare a fare le sculture. Il profumo di quell’ambiente unico, gli spazi enormi inondati di luce, la voce del suo buffissimo merlo, così come la sensazione di scoprire ogni volta qualcosa di nuovo in quel caos pieno di fascino dove ogni oggetto aveva una storia.. sono questi i ricordi più nitidi e belli di quegli anni.
Molto mattiniero ed energico partiva ogni giorno prestissimo in bici per andare al mare, dopo essere passato al forno a prendere le brioches per tutta la famiglia e aver raccolto i fichi del suo albero di cui andavamo tutti ghiotti. Fra le sue passioni, c’erano sicuramente il mare, il nuoto e le passeggiate in spiaggia: aveva un fisico invidiabile e sportivo. Ricordo che al nostro arrivo al mattino ci accoglieva fiero sotto l’ombrellone : “Stamattina sono arrivato fino a Riccione! Una meraviglia! Forza andate a fare il bagno, l’acqua è bellissima!”
Sono tanti i pensieri che affollano la mente..il suo ricordo è vivissimo in noi e nonostante siano passati tanti anni dalla sua scomparsa, la sua voce ed il suo sguardo rassicurante ci accompagnano ancora, la sua presenza resta salda attraverso le meravigliose opere e i tanti disegni che ci ha lasciato e di cui amiamo circondarci.
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