di Veronica Crescente
“Uno specchio non ha un cuore, bensì una moltitudine di idee”, ho scelto questa citazione di Malcolm de Chazal per introdurre al film del 1985 “La Rosa Purpurea del Cairo” di Woody Allen.
Il motivo è subito spiegato tramite una metafora: il cinema può infatti, a mio avviso, essere inteso come uno specchio nel quale vediamo proiettato non solo quel che ci viene proposto, ma una parte di noi stessi. Se è infatti vero che siamo soliti scegliere prodotti mediatici (non solo film ma anche canzoni, libri ecc…) nei quali ci riconosciamo, va da se che quello che viene offerto assume in noi, alla luce del nostro personale background, un significato del tutto personale. Un tema che, in tale pellicola in particolare, viene espresso molto bene. Iniziamo con il dire che “La Rosa Purpurea del Cairo” si caratterizza come film meta-cinematografico (il cinema che riflette su se stesso).
Protagonista è Cecilia (interpretata da Mia Farrow), una solitaria cameriera appassionata di film di Hollywood che vive all’epoca della Grande Depressione. Affascinata dal suo nuovo film preferito “La Rosa Purpurea del Cairo”, Cecilia si stupisce quando il protagonista Tom Baxter (interpretato da Jeff Daniels) improvvisamente scende dallo schermo per incontrarla. La donna, profondamente affascinata dalla sua galanteria e dal suo charme, si innamora perdutamente di lui, fin quando incontra l’attore reale che lo interpreta, Gil Sheperd. Ha così inizio un’avventura sentimentale con entrambi, personaggio ed attore interprete. Cecilia vive momenti di grande felicità contrastati da altri di profonda angoscia, nel tentativo di identificare la linea di confine tra la fantasia e la realtà.
Nel finale la donna abbandonerà l’illusione a favore della realtà.
Come spiegato nel mio libro “Il Cinema di Woody Allen: l’umorismo tra realtà e immaginazione” (dal quale questo articolo prende spunto) anche questa pellicola del regista è stata da me analizzata facendo ricorso a due testi : “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio” (1905) di Sigmund Freud e “L’umorismo” (1908) di Luigi Pirandello. Entrambi i testi sono stati scritti all’inizio del ‘900, aiuteranno ad avvicinarci al tema del contrasto ma nello stesso tempo della mutua contaminazione tra immaginazione e realtà.
In che modo avviene il processo di allontanamento dalla realtà?
Cecilia si allontana dalla realtà in quanto diviene un’affascinata vittima di un fenomeno sociologico di massa che nasce in quegli anni e che avrà larghe ripercussioni sul cinema sonoro: il divismo. Il divo non coincide soltanto con il successo di pubblico o con la simpatia che riscuote ma è un personaggio mitizzato dal pubblico che tende ad identificarsi con esso. Il divo, in questo caso, è Gil Sheperd: non è tra i più bravi artisti di Hollywood ma ha largo successo popolare e Cecilia è tra le sue ammiratrici più affezionate.
Attore/divo e fan si trovano più volte a dialogare tra loro. Gil non immagina neppure le sensazioni che dà al pubblico quando recita e Cecilia diventa il suo tramite con gli spettatori. Ecco perché Gil ha bisogno dell’ammirazione incondizionata di Cecilia e della sicurezza che riesce a dargli, un divo è tale solo quando esiste un pubblico che lo riconosce in questo modo nella sua immaginazione.
“Il cappello a cilindro”: che funzione riveste?
Anche il film “Il cappello a cilindro” che vede protagonista la coppia Fred Astaire-Ginger Rogers in proiezione al cinema Gioiello successivamente a “La Rosa Purpurea del Cairo” dopo che Gil Sheperd se ne era ritornato ad Hollywood senza portare con se Cecilia, contrariamente a quanto le aveva promesso, non è stato scelto a caso. Il musical nasce negli anni ’30, genere evasivo adatto ad essere rappresentato nel momento difficile della depressione che si sta abbattendo sulla nazione: in particolare la coppia Astaire-Rogers non sembra proporre riferimenti a questo particolare fenomeno.
L’eleganza coreografica e figurativa della coppia, non va letta come una semplice forma di intrattenimento. La danza è l’elemento di equilibrio, un linguaggio d’intesa, quello coreografico, capace di risolvere le difficoltà e permettere il superamento delle incomprensioni.
Le tre dimensioni esistenziali rappresentate dal regista
Nel film Allen rappresenta tre dimensioni esistenziali: vita reale, finzione cinematografica e mondo dello spettacolo. Vita reale e finzione cinematografica, i due contrari, vengono presentati con una sola struttura mista. Ad un’insoddisfazione nel mondo reale ne corrisponde infatti un’altra nel mondo della finzione; alla curiosità mostrata da Cecilia per il mondo del cinema, corrisponde quella di Gil per il mondo reale. Il sogno è capace, giocando con la trama dei nostri pensieri, di creare qualcosa di nuovo. Non a caso, il cinema assume, come già accennato, la funzione di uno specchio. Lo specchio è capace di riflettere il nostro stato interiore presentandolo come appartenente ad un corpo con le fattezze diverse proprio di un altro noi.
L’umorismo: un fatto tipicamente umano
L’uomo in questo è unico e per questo fa ridere: un cane non farebbe mai una cosa del genere spiega Pirandello, si accontenterebbe di vivere alla giornata lasciando scorrere il tempo. Solo l’uomo è vittima di un turbamento interiore che, difficilmente, lo porta ad essere ciò che è e più facilmente lo porta a desiderare ciò che non è e che vorrebbe essere. E questo, a paragone con il modo di essere delle altre specie animali e non solo, risulta essere umoristico.
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