di Roberto Chiesi
ANATOMIA DI UNA CADUTA (Anatomie d’une chute, Francia, 2023) di Justine Triet
Un uomo cade dall’alto di una finestra in un bel paesaggio montano, sereno e rassicurante. Cosa atroce, il suo cadavere viene scoperto dal figlio. Il morto è lo stesso uomo, Samuel, che, presenza invisibile ma estremamente molesta, assordava la moglie Sandra mentre questa – che è una scrittrice di una certa fama – si intratteneva con una laureanda in un’intervista resa impossibile dalla musica a tutto volume che il marito stava imponendo a tutti.
Questi elementi costituiscono l’avvio di Anatomie d’une chute (Anatomia di una caduta, 2023) che segna una svolta tragica nell’opera della cineasta francese Justine Triet. Gli interrogativi, i dubbi sulla possibile colpevolezza di Sandra, che aveva appena litigato col marito, sono un pretesto come un pretesto è la forma narrativa da legal thriller che la regia conduce con ritmo e tensione tali da non far avvertire le due ore e mezza di durata.
Un pretesto per vivisezionare un rapporto di coppia quando è minato da squilibri, scompensi e rimorsi che gravano soprattutto da una parte: Samuel, infatti, è involontariamente responsabile dell’incidente da cui il loro figlio Daniel è uscito ipovedente. A questo si aggiunge che Samuel è uno scrittore fallito, o meglio un uomo che non ha mai avuto il coraggio di provare se fosse veramente uno scrittore, mentre la moglie al contrario lo è diventata, consacrata. Il processo a Sandra è una discesa dentro l’inferno quotidiano di una coppia che si ama nonostante tutto ma si odia anche, perché Samuel deve accusare qualcuno del proprio fallimento e della propria viltà. E Sandra ha perfino attinto ad una sua idea, sviluppandola con talento, così da ispirare al marito l’acida accusa di avergliela rubata.
Il modello del film è Rashomon di Kurosawa, ossia le mille verità di cui si compone un’unica storia, con tutte le ragioni e i torti, le contraddizioni e le incoerenze che sporcano una vita, anzi due vite. Quella sporcizia, quella chimica maleodorante di rancori e frustrazioni andati a male diviene una forte materia narrativa nel film, raccontata in un unico, intenso e ellittico flashback e soprattutto sul volto di Sandra che deve difendere la sua vita e la sua libertà.
E anche sul volto di suo figlio Daniel, che decide di assistere al processo e di scoprire quelle realtà ustionanti che probabilmente determinano la fine prematura della sua infanzia e una precoce, dolorosa consapevolezza della miseria della vita. Alternando i volti e le parole dell’accusa e della difesa, Triet riesce a rendere immagini anche le parole, che tagliano, feriscono e svelano nuovi risvolti di una realtà mai univoca. Magistrali tutti gli interpreti, Swann Arlaud (l’avvocato Vincent Renzi), l’antieroe dai piedi di argilla Milo Machado Graner (Daniel) e il provocatorio, sofistico Antoine Reinartz (Pubblico Ministero). Meritata la Palma d’oro a Cannes.
Roberto Chiesi – BIO
Critico cinematografico e responsabile del Centro Studi – Archivio Pasolini della Cineteca di Bologna, è membro del comitato direttivo della rivista internazionale «Studi pasoliniani» e del comitato di redazione del periodico «Cineforum», inoltre è collaboratore del programma radiofonico di RAI3 “Wikiradio”. Scrive per i periodici «Segnocinema» e «Cinecritica». Ha collaborato al Dizionario Treccani del cinema e alla “Storia del cinema italiano 1970-1975”della Scuola Nazionale di Cinema. Ha curato l’edizione dvd di dieci film della collana Bergman Collection per BIM e, per le edizioni Cineteca di Bologna, de La rabbia (2008), Appunti per un’Orestiade africana (2009, dvd e libro), Fuoco! Il cinema di Gian Vittorio Baldi (2009), L’Oriente di Pasolini (2011), Accattone (2015) (con Luciano De Giusti), Il mio cinema (2015) (con Graziella Chiarcossi) e l’edizione dvd di Salò o le 120 giornate di Sodoma (2015).È autore o curatore, fra gli altri, anche dei libri Hou Hsiao-hsien (Le Mani, 2002), Jean-Luc Godard (Gremese, 2003), Pasolini, Callas e «Medea» (FMR, 2007), Il cinema noir francese (Gremese, 2015), Cristo mi chiama ma senza luce. Pier Paolo Pasolini e Il Vangelo secondo Matteo (Le Mani, 2015), «8 ½»di Federico Fellini (Gremese, 2018), Il cinema di Ingmar Bergman (Gremese, 2018). Ha collaborato ai volumi Lo scrittore al tempo di Pasolini e oggi. Tra società delle lettere e solitudine (Marsilio, 2018), TuttoFellini (Gremese, 2019), Simenon e il cinema (Marsilio, 2020), La sfinge nell’abisso: Pier Paolo Pasolini, il mito, il rito e l’antico (Universalia, 2020), Petrolio 25 anni dopo.(Bio)politica, eros e verità nell’ultimo romanzo di Pier Paolo Pasolini (Quodlibet, 2020), Gettiamo il nostro corpo nella lotta. Il giornalismo di Pier Paolo Pasolini (Marsilio, 2020), Pasolini e Sciascia, gli ultimi eretici (Marsilio, 2021) e recentemente TuttoPasolini (Gremese, 2022).
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