di Fabio Lombardi

Uno dei classici della letteratura vittoriana è Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde, di Stevenson (1886). Il dottor Henry Jekyll è un bravissimo medico, molto stimato e rispettato, un tipico gentiluomo inglese, mentre Edward Hyde è un individuo mostruoso che non ha scrupoli a calpestare una bambina e a massacrare un passante incrociato in un vicolo. Trattandosi di un racconto piuttosto famoso noi sappiamo bene come va a finire, ma per i lettori dell’epoca dev’essere stata una sorpresa scoprire che Jekyll e Hyde sono la stessa persona.

Sulla falsariga del racconto di Stevenson, questa sera vorrei parlarvi di un caso ancora più strano, quello del Colombo e del Piccione.

Tra i pennuti, il colombo è molto stimato e rispettabile. Nell’Antico Testamento, Noé lancia in volo un corvo e una colomba, che dopo qualche giorno di inutili perlustrazioni tornano a bordo dell’Arca. Passati sette giorni, Noè ci riprova con la sola colomba, che questa volta torna a bordo portando nel becco un ramoscello d’ulivo. Passati altri sette giorni, Noé lancia di nuovo la colomba, che non torna più perché ha raggiunto la terraferma, segno che il diluvio universale è terminato. Quanto al Nuovo Testamento, lo Spirito Santo è rappresentato quasi sempre nella forma di una colomba, come nell’episodio dell’Annunciazione. La colomba è un simbolo universale di pace, e come tale compare in Guernica di Picasso, anche se la prima volta in cui fa la sua apparizione nelle opere di Picasso è nel 1949, quando l’artista firma il manifesto del Congresso di Parigi. Nessun dubbio, quindi, che la colomba sia il simbolo per eccellenza della purezza, dell’innocenza, della speranza e di tutto quanto possa venirci in mente di buono e positivo.

Ora vediamo come se la passano i piccioni. Tra i volatili, il piccione è il più disprezzato e detestato. La gente lo associa alla sporcizia, ritenendo che sia portatore di chissà quali malattie. Poche persone riescono a toccarne uno senza provare un senso di ribrezzo. Alcuni, in loro presenza, manifestano i sintomi di una specifica fobia ornitologica che produce panico, tachicardia, nausea, sudorazione e senso di soffocamento. Per non parlare dei muri delle nostre città, che sono irti di punte di ferro allo scopo di impedire a questi uccelli di posarvisi. Uno degli argomenti che ricorrono più spesso quando si parla di loro è quello della disinfestazione, come se l’intento ultimo fosse di debellarli, e a tal fine sono stati impiegati strumenti come reti di cattura, veleni e pillole antifecondative. L’avversione per i piccioni ha fornito anche lo spunto per teorie complottiste, come quella riferita dal sito britannico Pigeons Aren’t Real, secondo cui fantomatici droni camuffati da piccioni, dotati di microtelecamere, ci spierebbero dai davanzali delle nostre finestre. Dal punto di vista della specie umana, quindi, i piccioni si trovano sul gradino più basso della scala ornitologica, anche se, a dire il vero, qualche dissidente – pochissimi, in realtà, e in prevalenza inglesi – continua a valorizzarli per le loro qualità di viaggiatori, sottoponendoli alla crudele fatica di lunghissime trasferte aeree per ritornare a casa. Un altro motivo per cui talvolta sono stati elogiati è quella della fedeltà di coppia, dato che il maschio e la femmina sono inseparabili, ma di questi tempi la monogamia non è più considerata chissà quale virtù. Più che come simbolo di fedeltà domestica, i nostri amici pennuti sono stati apprezzati come bersagli, per esempio nelle Olimpiadi di Parigi nel 1900, che fu la sola edizione dei giochi olimpici in cui era contemplata la specialità del tiro al piccione. Nell’occasione ne furono fatti fuori circa trecento. Ma i tenaci volatili resistono a ogni nostro tentativo di sterminarli. Sono dappertutto, come possiamo constatare facendo quattro passi in una qualunque città del pianeta. Forse per questo ci danno tanto ai nervi.

Tornando allo strano caso del Colombo e del Piccione, il colpo di scena è che si tratta dello stesso uccello.

Cambia solo il colore del piumaggio. Il colombo, che ha le piume bianche, vive in campagna, mentre il piccione, che è grigio con striature verdi, preferisce la vita metropolitana. Non ci sono altre differenze. Lo stesso individuo, a seconda di come lo guardiamo, manifesta le migliori qualità e i vizi più abietti, proprio come Jekyll e Hyde.

Non tutto detestano i piccioni, ma quelli che non lo fanno sono considerati personaggi strambi, come l’eccentrico pugile Mike Tyson, che li preferisce agli esseri umani, o come la Signora dei Piccioni di Mary Poppins. Nel settimo capitolo del romanzo di Pamela Travers (1934), questa signora ci viene presentata come la Donna Uccello (nell’originale inglese, The Bird Woman). È una corpulenta venditrice di becchime appostata davanti alla cattedrale di St. Paul, che ama i piccioni e di notte li accoglie sotto la sua enorme gonna per farli dormire tranquilli. Nel film di Walt Disney (1964) il personaggio, interpretato da Jane Darwell, appare con il nome di Vecchietta dei Piccioni, e in tale veste canta una canzone intitolata Feed the Birds, che pare fosse la canzone preferita di Walt Disney. Curiosamente, il personaggio ricompare con le medesime caratteristiche nel film di John Hughes Mamma ho riperso l’aereo: mi sono smarrito a New York (Home Alone 2: Lost in New York,1992), sequel di Mamma, ho perso l’aereo. Questa volta si chiama la Donna dei Piccioni, interpretata da Brenda Fricker, ed è una homeless che bivacca a Central Park in compagnia dei suoi amici pennuti. Ci sono altri film ispirati ai piccioni, come Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza di Roy Andersson (2014), che però non parla affatto di piccioni, perché il titolo è un mero richiamo al dipinto Cacciatori nella neve di Bruegel (1565), dove si vedono alcuni uccelli, non meglio identificati, appollaiati sui rami di un albero. Ci sono invece altri film in cui, almeno in una scena cruciale, i piccioni hanno un ruolo significativo. Il primo è Prima danza poi pensa di James Marsh (2023), biografia per immagini di Samuel Beckett, in cui, quando lo scrittore irlandese si sente male e stramazza sul pavimento, un piccione entra dalla finestra e lo fissa con aria preoccupata. Ma il film più noto è Blade Runner di Ridley Scott (1982), e la scena che ci interessa è quella in cui il prometeico replicante Roy Batty, interpretato da Rutger Hauer, pronuncia il suo celeberrimo monologo tenendo in mano un piccione, e qualche istante prima di morire apre le dita e lo lascia libero di spiccare il volo. Si potrebbe obiettare che non si tratta di un piccione bensì di un colombo, ma noi sappiamo che sono lo stesso uccello.

Nella narrativa, invece, non ci sono poi tanti piccioni, almeno per quanto mi risulta. Uno è quello del romanzo Il piccione di Patrick Süskind (1987), in cui il volatile, con una sola repentina apparizione, sconvolge la vita del protagonista, facendola precipitare nel caos. Un altro pennuto, questa volta un piccione viaggiatore, è quello che compare all’inizio di Un covo nascosto (The Password to Larkspur Lane) di Mildred Wirt Benson, pubblicato nel 1933 con lo pseudonimo di Carolyn Keene, il nom de plume con cui venivano firmate tutte le storie della serie di Nancy Drew, la giovane investigatrice dei romanzi gialli per adolescenti che forse qualcuno ricorderà se appartiene alla generazione dei ragazzi che frequentavano la carta stampata. Se me lo consentite, vorrei aggiungere all’elenco il mio ultimo romanzo, Quintetto, pubblicato l’anno scorso da Vallecchi, in cui il passatempo preferito del narratore è quello di osservare una coppia di piccioni stanziati sul davanzale della finestra della sua cucina.

A differenza della narrativa, dove i piccioni scarseggiano, nell’arte contemporanea sono ben presenti. Di recente il London Museum, dedicato alla storia della capitale inglese, nell’intento di rinfrescare la propria immagine ha adottato come nuovo logo un piccione. La direttrice Sharon Ament ha reso noto di averlo scelto perché lo ritiene un osservatore umile e imparziale della vita londinese, perfetto per rappresentare la diversità e la bellezza di una metropoli in continuo mutamento. Anche New York ha riscoperto i piccioni. Sulla High Line, all’incrocio tra le Decima e la Trentesima, nell’ambito di un progetto intitolato Dinosaur, nei prossimi mesi si poserà un gigantesco piccione realizzato dall’artista colombiano Ivàn Argote, che lo ha inteso come richiamo all’identità migrante della maggior parte dei newyorchesi. A Milano, nel 2021, all’interno degli spazi Pirelli di HangarBicocca, l’artista veneto Maurizio Cattelan ha realizzato una mostra dedicata ai piccioni, intitolata Breath Ghosts Blind (si tratta in realtà un suo vecchio lavoro risalente al 1997 e già visto a Venezia in due precedenti Biennali). L’installazione consiste in migliaia di piccioni impagliati, disposti su travi e cornicioni e negli angoli dello spazio espositivo, a imitazione di ciò che facevano quando erano vivi. A prescindere dalla modesta consistenza artistica della proposta, lascia perplessi il fatto che Cattelan abbia dovuto, evidentemente, acquistare un gran numero di piccioni per poi ucciderli e impagliarli. A conti fatti, ne ha ammazzati più lui dei giochi olimpici di Parigi del 1900. Ma ciò che conta, come ben sappiamo, è il profitto. In un allevamento destinato a rifornire le cucine dei ristoranti, un piccione vivo costa dieci euro. Nelle gallerie d’arte di Milano, i piccioni impagliati di Cattelan, nella formazione minima di cinquantacinque esemplari, sono in vendita a quattrocentomila euro, e pare che di formazioni minime ne siano già state vendute parecchie. Ecco un esempio di proficuo investimento economico. Per la verità, Cattelan non è stato il primo a esibire piccioni morti. Graziano Villa mi segnala che molte signore veneziane, durante il Carnevale del 1983, scelsero come travestimento maschere confezionate con piccioni tassidermizzati. Forse si tratta di una tradizione veneta.

Lasciatemi finire questa carrellata dedicata ai piccioni con un’incursione nel fumetto. Vi ricordate di Andy Capp, il proletario inglese rissoso e individualista delle strisce di Reg Smythe? In Italia le sue anarchiche peripezie sono state pubblicate sul Corriere dei Piccoli e su Eureka, ma lui e sua moglie Floss apparivano anche sulla Settimana Enigmistica, nella rubrica Le avventure di Carlo e Alice. Se ve ne ricordate, forse avete in mente la predilezione di Andy per i piccioni viaggiatori, che allevava con grande passione, forse l’unica vera passione della sua vita oltre alla birra e alle sigarette. Un’altra serie a fumetti in cui i piccioni svolgono un ruolo decisivo è Bristow di Frank Dickens, dove un grosso piccione dall’atteggiamento scostante si posa ogni tanto sul davanzale della finestra dell’ufficio del protagonista, un surreale impiegato dell’ufficio acquisti di una società commerciale, dedito all’ozio e alle divagazioni e al sabotaggio del sistema. Non posso infine non citare il Piccione Gennadiy della fumettista ucraina Koro, che di recente, in seguito alla denuncia di un tale Alezander Khinshtein, ha attirato l’attenzione della polizia sovietica, la quale ha accusato il pennuto di essere portatore non di malattie ma di pericolose idee omosessuali, oltre che di indossare l’uniforme militare ucraina. La casa editrice Eskmo, che pubblica il fumetto, è stata pesantemente sanzionata. Nella storia dell’ornitologia è il primo caso attestato di un piccione omosessuale e guerrafondaio.