Un libro contro tutti i malesseri
di Manuela Racci
“Una lettura seria e profonda cambia la vita; è un incontro con un’apparizione imprevista, come un
incontro all’angolo della strada con l’amante, con l’amico, con il nemico mortale” (Rilke)
Perché leggere la Divina Commedia?
Perché Dante? Perché oggi più che mai l’incontro con il ghibellin fuggiasco ha il sapore dell’irrinunciabilità?
Poeta concentrico, Dante sembrerebbe non poter fornire modelli a un mondo come il nostro che sta perdendo se stesso, che si allontana progressivamente dal centro e si dichiara in perenne espansione. E proprio per questo, sembrerebbe inspiegabile alla nostra moderna cecità che quanto più il suo mondo si allontana da noi, tanto più cresce la nostra volontà di conoscerlo e di farlo conoscere a chi è più cieco di noi…così già scriveva Montale, cogliendo l’inesplicabile segreto e cioè che Dante rappresenta una meta cui tendere per mettersi in salvo. La sua parola ha una dimensione e una pregnanza tali che la fanno attuale sempre, soprattutto quando l’uomo smarrisce se stesso e il sentimento del proprio destino.
Ma donde viene tale forza che vince le fredde ali del tempo preservando la Divina Commedia dalla notte dell’oblio?
In primis Dante è un classico, anzi il classico per eccellenza, in quanto dominato da una particolare irrequietezza che fa sì che non si lasci facilmente collocare.
Per cui scrive G.Contini l’impressione genuina del postero, incontrandosi con Dante, non è d’imbattersi in un tenace e ben conservato sopravvissuto, ma di raggiungere qualcuno arrivato prima di lui.
Nell’ottica della biblioterapia la Divina Commedia risulta attualissima, in quanto Dante esprime tutte le dimensioni della realtà, iniziando se stesso e noi alla scoperta che l’al di là non è un luogo remoto dopo la vita, ma è l’altra faccia della realtà, diversa ma non distinta…per questo la Divina Commedia parla di noi, dei nostri inferni e purgatori e paradisi, delle nostre cadute e delle nostre risalite e ci invita a elevarci, a crescere, a espanderci per conoscerci…Essa va letta con grande energia creativa per cogliere il nesso tra amore e conoscenza–le nozze sacre-, nella certezza dantesca che l’uomo è un perfetto microcosmo in grado di far risplendere il mistero trinitario di Dio, l’uomo e il cosmo…
Già l’analisi lucida di Auerbach ha da tempo messo in evidenza la pregnanza umana della Divina Commediavista come teatro delle passioni , in quanto Dante ha sollevato l’uomo dalla sua indeterminatezza e lo ha posto nello spazio storico, che è la sua reale dimora: Dante per primo ha forgiato quella figura dell’uomo che la coscienza europea ancora non possedeva, l’uomo, quello vivo, determinato, legato alla storia, l’individuo nella sua unità e completezza, la persona nel suo valore primario e intangibile, in breve nella sua natura storica e in questo lo seguiranno tutti quelli che daranno figura all’uomo…
Critici e dantisti eminenti hanno già colto la posizione avanzata e di scoperta di un Dante rispetto ad una sensibilità umanistica, soprattutto per quella sete umana di felicità che permea di sé tutto il viaggio di Dante e che induce a parlare di vero umanesimo entro le cui coordinate la vita umana, la dimensione terrena si caricano di una dignità sconcertante.
E’ importante insistere su questo aspetto…l’anelito alla felicità come scopo del viaggio di Dante – è il poeta stesso che lo chiarifica, là dove nella famosa Epistola a Cangrande della Scala, dichiara che il fine della Divina Commedia è “togliere dallo stato di miseria i viventi e condurli allo stato di felicità” – ha fatto sì che oggi alcuni edotti uomini di Chiesa abbiano preso le distanze da una Commedia intesa e letta come testo sacro, baluardo dell’ortodossia cattolica...”La Commedia di Dante è più platonica che cristiana – scrive Monsignor Gervasoni, docente di Antropologia delle Religioni….Questa speranza di un ritorno della felicità, del bene ha un impianto molto platonico, poco cristiano (…) Questa nostalgia del Paradiso terrestre (..) è un retaggio tipicamente culturale. Noi non ci crediamo più. La Commedia non è parola di Dio, non è la Bibbia (…), non è un luogo dove troviamo l’ortodossia della fede”.
Non possiamo che essere d’accordo, perché è proprio qui che si cela il motivo più forte del potere curativo dell’opera di Dante: NON E’ UN TESTO SACRO, MISTICO, DIFFICILE, ASCETICO, rigorosamente CATTOLICO, ma è un testo profondamente UMANO, o meglio un testo che, come tutti i grandi libri antichi, accoglie il segreto sapienziale, si fa vascello di quella Sapienza segreta UNIVERSALE che appartiene a tutte le fedi, ad ogni sentire umano e religioso, trasversale a tutte le grandi culture: la REALIZZAZIONE INTERIORE, cui si giunge attingendo a dimensioni superiori!
Se l’opera di Dante non ha tempo è perché è una delle più alte trascrizioni di quel PROGETTO che rappresenta il vertice dell’avventura umana” (A.Lanza, Dante e la gnosi). Quanto sono vere queste parole! Si ricollegano alla radice della riflessione di Montale, pur con dispositio ben diversa dei due autori: il progetto è quello che riaffiora nei momenti epocali, quando matura la faticosa consapevolezza che ogni altro tentativo è fallimentare, è quello che ESIGE non accomodamenti, aggiustamenti, miglioramenti, ma la RADICALE TRASFORMAZIONE della natura dell’uomo.
Vediamo di chiarire ancora di più questo basilare concetto.
Ciò che determina il fascino di Dante e fa la giovinezza e l’attualità della sua poesia sta nella sua indomabile volontà di vivere da uomo, di agire da uomo, di parlare da uomo nella sua inesauribile tensione a mettere a confronto tutto della sua vita con il Destino e a trasformarsi.
I fatti salienti della sua esistenza, la sua stessa vita interiore, il suo pensiero vivono nell’oltretomba. La Divina Commedia è un fatto personale dall’inizio alla fine.
L’autore di questo viaggio straordinario non è un eroe leggendario, un santo o un profeta, ma un uomo immerso nei suoi dolori e smarrimenti, calato appieno nella storia a lui coeva, una storia di cui conosce le pieghe più riposte, le forti contraddizioni, il peso e la depravazione poiché attore ne è l’uomo, l’uomo di sempre di cui il poeta conosce ogni pascaliana miseria e grandezza..
Scendendo di girone in girone, attraverso gli incontri con le anime perse , è come se Dante scendesse dentro se stesso, incontrando una parte di sé, una parte che il poeta-pellegrino deve superare, oltrepassare, staccandola da sé e giudicandola. In ogni incontro, soprattutto in quelli più alti e drammatici, Dante lascia una parte della sua vita, una forte passione che lo ha accompagnato e attraversato – l’amore passionale, la fierezza politica, la bramosia della conoscenza – ma che ora deve allontanare e sublimare per ritrovare se stesso e risalire..così in questa sua abissale discesa Dante conduce con sé ogni uomo, da sempre…E così la sua poesia, più di ogni altra, cura l’anima.
Suggeriamo la lettura suggestiva e irrinunciabile del commento alla Divina Commedia di Anna Maria Chiavacci che con passione e pathos narrativo conduce il lettore all’interno di un itinerario di recupero della dimensione umana e storica del poema…
Come dicevamo, la Divina Commedia non è un poema sacro, non è un trattato di teologia, ma un grande testo poetico, Dante non è un teologo, un politico, un uomo di chiesa ma è un uomo in cammino, e ogni gesto dell’uomo è prezioso, ogni sua parola è contata, tutta la realtà è guardata da Dante con appassionata cura e amore in ogni sua sfumatura..ogni moto del cuore umano sembra appartenere a Dante, nulla gli è estraneo poiché tutto ciò che riguarda l’uomo lo attraversa.
PERCHE’? Cosa alimenta la Divina Commedia in modo tale da renderla irrinunciabile, da conferirle quel potere di rigenerazione costante di cui parla il poeta Mario Luzi?
E’ questo immedesimarsi di Dante nell’umano che conferisce al poema un amore e un’universalità che durano da sempre, dati dalla forza di un destino che trasfonde un significato personale alle figure e agli eventi..
E da cosa deriva questa capacità di immersione nell’uomo? Dal fatto che la Divina Commedia è un VIAGGIO INTERIORE, dentro se stessi, e’ una discesa dentro il buio della propria anima, là dove dormono i propri demoni, le paure paralizzanti, là dove si alimentano i rimorsi, le colpe, le cadute: l’Inferno di Dante è l’inferno del nostro abisso interiore, è la nostra Ombra con cui dobbiamo fare i conti, che dobbiamo addomesticare, attraversare per poterci perdonare e risalire…
Il movimento di discesa verso il buio infernale è quel processo che Jung chiama “psicologia del profondo” e “principio di individuazione” e che è necessario per divenire veramente se stessi, per tornare al proprio sé.
Si diceva prima che incontrando le anime, Dante in realtà incontra se stesso !
Se si tratta di un viaggio dentro se stessi, con la necessità di scendere dentro la propria OMBRA, per affrontarla, per addomesticare il male che si annida dentro di noi, anche là dove non crederemmo mai potrebbe essere, poiché il male può essere fiaccato, depotenziato, messo alla porta SOLO affrontandolo senza pietà, Dante, nella sua dolorosa e drammatica discesa, in realtà è davanti a stesso.
Gli spiriti incontrati sono tanti specchi che riflettono l’anima di Dante: l’uomo in cammino si specchia in loro, affondando gli occhi dentro quelle buie sfaccettature che abitano il sottosuolo, quelle tentazioni, quelle passioni, quel fascino oscuro del male che la mente, vigile e abile a rimuovere, mai ammetterebbe !!!
E’ un fare i conti con se stesso, senza sconti, senza alibi, giustificazionismi e concessioni; per cui là dove Dante sembra implacabile, crudele e disumano – si vedano gli incontri con Filippo Argenti (canto VIII) e Bocca degli Abati (canto XXXII) – in realtà lo è solo verso se stesso.
Il peccato ad esempio per cui è punito Filippo Argenti è l’ira, di cui Dante era accusato. Quel potente “Ti conosco” rivolto da Dante al dannato è inequivocabile indizio del fatto che il poeta ha riconosciuto il male che si annida nel suo cuore, uno degli” spiriti immondi” più forti, più restii ad abbandonare l’anima di Dante, inchiodandolo alla selva oscura…
Non avrebbero senso altrimenti le parole di plauso di Virgilio e l’abbraccio che regala a Dante ! Virgilio elogia il poeta e lo cinge con un caldo abbraccio perché è riuscito nell’impresa più ardua e più coraggiosa: guardare in faccia il male, il peccato, affondarci dentro, prenderne consapevolezza ..solo così si va oltre...
Dante si specchia nei vari personaggi incontrati perché essi sono la personificazione delle varie facce del MALE…La sua apparente crudeltà è tale solo se letta verso se stesso, per cui essa diventa espressione del suo coraggio a mettersi a nudo, a confessarsi, a rovesciare fino in fondo il calice amaro della sua esistenza…
Per tornar a riveder le stelle, bisogna scendere dentro il proprio groviglio, morire e rinascere a nuova vita…
Il viaggio di Dante è quindi quella liturgia che avviene all’interno dell’uomo ogni volta che è pronto a trasformare il piombo della propria materialità nell’oro della perfezione spirituale: un viaggio di espansione di coscienza.
E l’unico fuoco che permette la TRASFORMAZIONE è senza dubbio l’AMORE, l’amore che porta un nome, che oramai è un vero guadagno per il sempre: BEATRICE,
colei che porta la LUCE, che risveglia visioni iperuraniche, che mette le ali e rilancia la vita verso il senso dell’ulteriorità, perché Beatrice è e resterà sempre la donna tenacemente amata dal poeta…Il Paradiso di Dante sono gli occhi di Beatrice, il suo sorriso e il suo beato riso.
Fino all’ultimo non cesserà mai d’essere ciò che era al principio, cioè una creatura particolare,un’esperienza contingente e personalissima, la forza dell’incanto dei sensi che vengono messi al servizio della Redenzione del poeta.
Beatrice è l’incontro determinante, è figura dell’aldilà personale di Dante: colpito in tenera età dalla sua grazia, si accese in lui quella fiamma d’amore che più non si spense..ben presto il poeta dovette riconoscere che tale legame, per la sua misteriosa forza, era il fatto più importante della sua esistenza. Fu allora che si impose a lui una scelta: o fare di questo amore la sua dannazione, un ricordo struggente, un possesso egoistico che lo separava dal mondo, o obbedire alla sua natura totalmente gratuita, riconoscendo in esso i segni dell’aiuto di Dio per tornare a camminare verso di Lui.
“Amor mi mosse che mi fa parlare”…così Beatrice dice a Virgilio (Inf. canto II, v. 72), esprimendo tutto l’amore suo, personale che ormai fa parte dell’Amore divino: in nome di quell’amore lei si è mossa e si muoverà fino al Paradiso; il gesto umano, terreno coincide con il destino ultimo, lo storico con l’eterno…
Beatrice, dunque, è lo strumento d’amore che Dio ha predisposto per trarre a sé Dante: egli vede lo splendore di Dio riflesso negli occhi belli della sua donna (onde a pigliarmi fece amor la corda), veicolo di grazia, nel senso che ha un ruolo salvifico…ella è espressione della magnificenza, della meraviglia di Dio, è la Forma visibile della Bellezza Assoluta .
Sedotto da tale bellezza, Dante compie la sua evoluzione spirituale e intellettuale,simile a una vera e propria conversione. Ecco il miracolo operato da Beatrice, creatura platonicamente demonica al modo di Eros perché conduce Dante dall’esistenza terrena alle realtà celesti, una scala verso il cielo, un ponte verso il soprasensibile, senza però smaterializzarsi mai; essa resta centrale, anche nell’incontro finale, non viene mai negata, mai inghiottita dall’amore dovuto a Dio, né annientata in altro…Il sentimento che Dante prova per l’amata e che gli è entrato dentro proprio attraverso le porte degli occhi accendendo un fuoco eterno, è qualcosa di incancellabile e non riassorbito mai nell’adorazione di Dio, anche se Dante ora sa che Dio è alfa e omega di ogni atto d’amore. La compresenza di questi due sentimenti che non si negano mai, ma coesistono in armonia, costituisce un valido criterio per parlare della Divina Commedia come il più grande romanzo d’amore di tutti i tempi,la più grande esaltazione della bellezza di una donna, di una bellezza che è espressione e richiamo della Bellezza divina e forza motrice di un viaggio straordinario, di una bellezza che salva,che libera, che introduce alla totalità riconducendo a Casa il viandante stanco e smarrito…
Pervicace e inoppugnabile è il convincimento che l’esperienza umana e poetica di Dante si inscrive tutta sotto il segno di AMORE : tutta la vita del poeta si spende nel rendere ragione a sé e agli altri di questa grandiosa arcata esistenziale e poetica: dalla prima apparizione di Beatrice (quando i suoi sensi dissero Iam apparuit vestra beatitudo) al saluto finale, alla fine del Paradiso, quando Dante le rivolge la commossa e appassionata preghiera, è una vera palinodia dell’erranza amorosa: per ritrovarla nella pienezza del suo significato, in qualità di dono gratuito inviato da Dio al poeta, di angelo che si fa clessidra tra la terra e il cielo, era necessario smarrirsi, scartare, rinunciare, mettere da parte, resistere e respingere tante specie di amore per ritrovare il bandolo, il filo della propria esistenza…
Dunque il destino di Dante è un destino d’Amore, una vita sotto il segno di Amore.
Sappiamo ben poco della vita di Dante: nessuna lettera, nessuna firma, nessun autografo del capolavoro.Tentare di sollevare questo velo sarebbe vano, inutile e mortificante verso la vera poesia; non serve sciogliere il nodo poiché nella sua poesia è rimasta, quale dono inestimabile, la vera realtà della sua vita. E questo basta per fare proprio il pensiero di Borges là dove dice che la Commedia è il più grande dono che la letteratura ci abbia offerto e non leggerlo significherebbe condannarsi a una sorta di strano ascetismo e all’infelicità. In fondo, ha ragione il vulcanico Benigni quando grida che Dante ha scritto la Divina Commedianon perché Dio esiste, ma perché Dio ESISTA.
La forza e l’irrinunciabilità “curative” della Divina Commedia, che fanno sì che oggi, sempre di più si aneli la poesia del “ghibellin fuggiasco”, scaturiscono, crediamo, dal significato di Beatrice, nel nome della quale Dante ha affermato il valore della vita e della poesia, “cantando” la possibilità di riscattare la precarietà e la fragilità delle nostre esistenze, immesse nella categoria mortale del tempo. Ha fatto sì che tutto si giustificasse in nome di una donna che porta AMORE e LUCE.
Qualcuno ha mirabilmente scritto: “I nostri contemporanei, presi nelle infinite strategie dell’irrilevanza quotidiana, nell’evanescenza del loro amatissimo ‘tempo reale’, avrebbero ancora tanto da imparare da questo inaudito riscatto della fragile vita, da questa così lontana sfida al tempo e alla sua distruttività.”(Ferroni Giulio, Dante. La mia Vita si chiama Beatrice)
Noi, curati da Dante in questa sorta di passeggiata con lui, vorremmo ”rubare” una frase al grande Dostoevskij, frase che lo scrittore russo partorì per il Don Chisciotte, e che noi applichiamo senza tentennamento al capolavoro dantesco:
“Se Dio avesse assegnato all’uomo il compito di comprendere la vita, egli, una volta al suo cospetto, interrogato se avesse portato a termine la missione affidatagli, potrebbe, in silenzio, porgere la Divina Commedia”
MANUELA RACCI, Laureata in Lettere, tesi su Dante,110 e lode, insegna da sempre materie umanistiche presso il Liceo classico.
Presenta e partecipa a convegni di respiro nazionale dedicati alla poesia, alla filosofia, alla metafisica e al delicato rapporto realtà-mistero, in qualità di ricercatrice spirituale: in particolare sta lavorando sulla matrice esoterico-platonica della Divina Commedia. Tiene conferenze su argomenti storico-filosofici e letterari, seminari e corsi sulla biblioterapia , di cui è moderatrice( è docente della cattedra on-line)e di cui ha scritto un manuale,INIZIAZIONE ALLA LIBROTERAPIA, in sinergia con medici e psicoterapeuti, in un’ottica di “scavo archeologico” dell’anima e di terapia esistenziale . Partecipa a dibattiti televisivi locali su tematiche attuali relative al presente disagio giovanile e su argomenti culturali.Ha scritto altri 3 libri, in particolare tiene a sottolineare il primo DAL CIELO NEI TUOI OCCHI, una storia autobiografica dedicata al primo grande amore, con prefazione dell’amico attore Enzo Decaro e l’ultimo, CARO AMORE TI SCRIVO, un lungo viaggio TERAPEUTICO attraverso i grandi epistolari d’amore.
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