di Veronica Crescente
Zelig, la pellicola di Woody Allen del 1983 analizzata con l’aiuto di strumenti teorici ripresi dalle opere “Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio” (1905) di Sigmund Freud e “L’umorismo” (1908) di Luigi Pirandello, per guardare da vicino il tema del curioso rapporto tra realtà ed immaginazione.
Gli ingredienti
La pellicola si presenta nella forma di un cine documentario incentrato su un fenomeno della fine degli anni Venti. Leonard Zelig viene presentato come un uomo-camaleonte dotato di una capacità di mimetismo che gli permette di diventare simile, fisicamente ed intellettualmente, a chiunque gli sia vicino. È inoltre dotato della capacità di introdursi in tutti gli ambienti per frequentare gli uomini più potenti. Ospedalizzato nel reparto di psichiatria e considerato un caso unico, suscita i commenti di tutti gli specialisti di scienze umane: i neurologi si interessano al suo cervello, gli psicoanalisti alla sua infanzia ed alla sua famiglia e i sociologi al suo ambiente d’origine.
Un medico, la dottoressa Eudora Fletcher, decide di interessarsi al suo caso e di interrogarlo sotto ipnosi: da questo dialogo ne deriva che il suo mimetismo nasce dalla paura di non essere all’altezza di chi sta a lui di fronte. I membri della sua famiglia lo metteranno in mostra come se fosse un fenomeno da baraccone, fino a quando non si uccidono l’un l’altro in Spagna.
Eudora Fletcher rappresenta colei che permette la rieducazione del povero Leonard, rieducazione che inizia a produrre i primi risultati positivi quando Leonard confessa alla donna di essersi innamorato di lei. Decide di sposarla ma il passato fa capolino: avendo assunto innumerevoli personalità , risulta già sposato numerose volte e così sparisce. Viene ritrovato tra le SA di Hitler. Eudora Fletcher va a cercarlo e lo ritrova, permettendo, in questo modo, il lieto fine.
In che modo avviene il processo di allontanamento dalla realtà?
Leonard Zelig abbandona l’autenticità di sé cedendo alle tentazioni propugnate dalla società di massa ed, in particolare, all’ iperconformismo ed esibizionismo. Zelig porta all’estremo un tratto comune a tutti gli artisti e a tutti gli attori in particolare: questo consiste nell’interiorizzazione del modo di essere di coloro che abbiamo di fronte staccandosi dal reale, vivendo una molteplicità di sensazioni diverse dovute alla capacità, così acquisita, di vedere il mondo con occhi diversi, quelli di colui che imitiamo.
Il film risulta essere una riflessione sulla realtà macrosociale e sul ruolo che vi hanno le comunicazioni di massa: Allen pedina la realtà cercandone un senso. Il film presenta una struttura circolare: dopo un inizio nel quale il protagonista cerca la perfezione nell’arte (nell’arte imitativa in questo caso), ritorna poi alla realtà, con la consapevolezza che l’arte deve far parte della vita reale perché , solo in questo modo, può diventare forma di espressione umana, ovvero di quella capacità di interiorizzazione ai fini dell’adattamento che distingue l’uomo dalle altre specie viventi. Da non dimenticare le origini di Zelig, è ebreo, suo padre era un attore yiddish.
Leonard Zelig riesce così a vedere se stesso con gli occhi di un altro e di altri acquisendo più sicurezza, sentendosi accettato, ed anche perché, così facendo, si mette alla prova entrando in personalità diverse e giungendo, come sempre attraverso un percorso circolare che parte dalla realtà di sé per ritornare ad essa, a conoscere se stesso e le proprie potenzialità. Leonard in questo modo interroga se stesso e la realtà che lo circonda, cercando di trovare un senso all’esistenza al di fuori di sé. Ma questo è ciò che l’ebreo, da sempre, è condannato a fare: interrogare il testo che si trova di fronte, entrando in contatto con esso fino ad interiorizzarlo, annullando se stesso. Anche nella religione l’ebreo annulla se stesso per identificarsi nel gruppo. Leonard è così da sempre, condannato a rifuggire dalla realtà di sé: l’impatto con la società mediatica porta ad estremizzare questo annullamento e questo istinto di identificazione con il gruppo. Non si tratta però più di un piccolo insieme di persone, bensì di una massa molteplice e multi sfaccettata impossibile da contenere in un’unica persona. Leonard Zelig compie questo tentativo apparentemente utopico.
La comicità del personaggio Zelig.
L’operazione straordinaria compiuta da Leonard Zelig altro non è che la risposta ad un’esigenza di comunicazione che viene soddisfatta attraverso il ricorso alla mimica. Si parte sempre da un confronto tra l’io del soggetto imitatore e l’altro che viene imitato. Freud afferma che il risultato di questo paragone può rivelarsi molto diverso: da un lato abbiamo la comicità di movimento, la quale nasce da un dispendio maggiore che l’imitatore si auto impone per rassomigliare a colui che intende imitare, ed è proprio tale difficoltà aggiuntiva che fa scattare il riso; dall’altro abbiamo la comicità di tipo intellettuale che nasce, al contrario, dal risparmio di pensiero che viene messo in atto da colui che si immedesima nell’altro. Il riso, in questo caso, scaturisce da questo tipo di risparmio: la nostra specie, civilizzata, tende solitamente ad aumentare il lavoro mentale limitando quello muscolare necessario per fare la stessa cosa.
In Leonard l’immedesimazione nell’altro è totale, sia dal punto di vista intellettuale sia dal punto di vista del movimento. Ad un’immedesimazione così estrema corrisponde un’alienazione da sé dello stesso tipo. Nel caso della comicità di movimento non dobbiamo dimenticare le conseguenze fisiologiche che tale tipo di immedesimazione comporta: nella vita psichica del nostro protagonista rimarrà sempre traccia dei modi di pensare e di agire divenuti parte delle sue sensazioni di innervazione durante il processo di avvicinamento all’altro.
Freud parla, in questo caso, di “dispendio di innervazione” proprio del movimento comico, inibito in status nascendi attraverso il riso. Zelig viene fatto portavoce di un tipo di comicità ben precisa, la comicità di situazione: essa nasce dal rapporto tra l’uomo e il mondo esterno. La comicità di situazione, tipica della cultura ebraica, è caratterizzata da una serie di pratiche peculiari consistenti nel porre la persona in una situazione comica in senso reale (facendola apparire stupida approfittando della sua credulità, per esempio) o per finta, attraverso giochi di parole.
L’imitazione è sicuramente una forma di comicità nella misura in cui colui che imita si impossessa dei modi di fare e di essere altrui, mettendo così in atto un’operazione molto comune durante l’infanzia ai fini della sopravvivenza sociale. Zelig, uomo della società mediatica, proprio come l’individuo nella folla, regredisce ad uno stato primitivo infantile, rispondendo alle leggi del gruppo e aderendo così ad una forma di iper conformismo esteso a tutti i settori dell’esistenza. L’imitazione è la prima forma di adattamento adottata: è innata grazie alla presenza nell’uomo di particolari neuroni detti neuroni specchio. Il riso nasce, in questo caso, secondo un mio personale punto di vista, dalla constatazione di una differenza di dispendio rappresentativo tra l’imitato (che si limita ad essere se stesso) e l’imitatore (che si sforza di essere qualcun’altro per essere accettato) nel quale riscopro il bambino.
Dove e come emerge il lato umoristico?
Altro piano di lettura alla luce del quale ho provato ad analizzare il film è quello umoristico: a differenza del comico l’umorismo fa nascere il “sentimento del contrario”. Sorge spontanea una domanda: che cosa porta Leonard Zelig a comportarsi come un camaleonte? Innanzitutto il fatto, comune a tutti gli esseri umani, di rifuggire da una visione obiettiva di se stessi e del mondo per paura di rimanerne delusi o, come nel caso di Zelig, per superare la difficoltà di accettarsi e di essere accettato. Seguendo il pensiero di Pirandello siamo portati ad affermare che è dalla riflessione che nasce il sentimento del contrario: Leonard Zelig, ebreo, si affaccia alla vita, la meta-riflessione lo porta alla conclusione di essere un disadattato.
La sua reazione più immediata è quella di diventare altro da sé rispondendo meccanicamente alle richieste della società. Adottando un punto di vista umoristico è possibile scoprire che Leonard Zelig interpreta con vero riguardo ciò che è in realtà un’azione di convenienza e calcolo frutto di una finzione spontanea. Lui va oltre, ripudiando i propri valori, rinnegando le proprie radici, nel momento in cui accetta di entrare a far parte delle fila del nazismo. Il punto di vista comico interpreterebbe questa azione come conseguenza dell’illusione spontanea di essere altro da noi; il punto di vista umoristico entra invece più a fondo nella questione: mentre la verità divide, la menzogna di Zelig è più conveniente perché unisce o, per meglio dire, riunisce l’inetto e disadattato Leonard alla società.
L’articolo è tratto dal libro “Il cinema di Woody Allen: l’umorismo tra realtà ed immaginazione”.
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