IL Terzo Uomo : con Orson Welles nel cuore nero di Vienna
di Graziano Villa
“Il Terzo Uomo”, diretto dal regista inglese Carol Reed da una sceneggiatura dello scrittore Graham Greene (autore anche del libro omonimo pubblicato dopo l’uscita della pellicola), in fondo è imperniato su questa dicotomia: da una parte gli inganni e le menzogne che caratterizzano il suo intreccio poliziesco, dall’altra le spinose verità che scuotono di volta in volta il senso morale del protagonista, lo squattrinato romanziere americano Holly Martins, interpretato da Joseph Cotten. Frutto del sodalizio fra due dei massimi mogul del cinema classico, Alexander Korda e David O. Selznick, “Il Terzo Uomo” debuttava nei cinema britannici l’1 settembre 1949, riscuotendo un gigantesco successo in patria e vincendo, il 17 settembre, il Grand Prix (l’equivalente della Palma d’Oro) alla terza edizione del Festival di Cannes; il film sarebbe stato distribuito negli Stati Uniti solo cinque mesi più tardi, con undici minuti di tagli imposti da Selznick.
La penna di Greene, maestro della narrativa di spionaggio, sviluppa la trama de Il terzo uomo a partire da un primo elemento di mistero: la morte, avvenuta in circostanze non del tutto limpide, di Harry Lime (il personaggio di O. Welles), americano di stanza a Vienna e amico d’infanzia di Holly Martins (il personaggio di J. Cotten), quest’ultimo appena arrivato nella capitale austriaca proprio su invito di Lime.
Siamo nel secondo dopoguerra, e la Vienna dipinta da Carol Reed costituisce uno scenario di grande suggestione: una città-fantasma in cui le rovine del conflitto convivono con la decadente maestosità dell’antico splendore asburgico. È una delle chiavi dell’oscuro fascino del film: la dimensione quasi metafisica in cui sono collocati gli avvenimenti del racconto e le indagini di Martins, smarrito fra le vie e i monumenti di una città notturna e spettrale.
La scelta di Vienna come ambientazione della storia, del resto, non è casuale: dopo la sconfitta dell’esercito nazifascista la città è stata divisa in quattro settori, controllati rispettivamente da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica. Nel centro di Vienna, invece, convivono soldati provenienti da ciascuno dei quattro stati: una Babele in cui si mescolano autorità ed interessi spesso contrastanti. Questa capitale martoriata dalle bombe assume dunque i contorni di una no man’s land in preda al mercato nero e in cui si aggirano loschi individui; ad accentuare il senso di estraneità e di spaesamento di Martins è poi il tedesco, lingua a lui sconosciuta e che rende ancor più difficile la sua ricerca della verità riguardo la dipartita – o forse l’assassinio? – dell’amico Harry e la presunta presenza, sul luogo del delitto, di un fantomatico “terzo uomo”.
GRAHAM GREENE
Henry Graham Greene (Berkhamsted, 2 ottobre 1904 – Corsier-sur-Vevey, 3 aprile 1991) è stato uno scrittore, drammaturgo, sceneggiatore, agente segreto e critico letterario britannico. Le sue opere esplorano la morale ambivalente e le questioni politiche del mondo moderno. Greene fu uno scrittore impegnato molto popolare. Rifiutò sempre l’etichetta di romanziere cattolico per quella di romanziere anche cattolico, tuttavia i temi religiosi, in particolare cattolici, furono alla radice di molti suoi scritti, specialmente i quattro romanzi La roccia di Brighton, Il nocciolo della questione, Fine di una storia e Il potere e la gloria. Opere come Un americano tranquillo, Il nostro agente all’Avana e Il fattore umano mostrano il suo grande interesse per le operazioni di politica internazionale e di spionaggio.
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