di Monica Baldi
– fotografa e giornalista –
Rimini, Riccione. La luce è tenue, i raggi del sole non cadono violenti e in cielo solo qualche nube. La nitidezza ad un tratto lascia lo spazio alla sfocatura. I confini non sono più così ben definiti. Ecco che dobbiamo iniziare ad immaginare. Cosa c’è oltre? D’altronde il mare è immaginazione, è fantasia. Questa immensa massa d’acqua che si apre davanti ai nostri occhi può nascondere un mondo. Ma non necessariamente ci dobbiamo sforzare di capire.
Dalla realtà passiamo al sogno per poi tornarci a svegliare. Un sogno, una pausa, una fuga dalla realtà. Questo è il mare, questa è fondamentalmente la vacanza. La vera vita è quella del sogno. Sogno e realtà si rincorrono, si sovrappongono, si confondono. Quella visione onirica felliniana. Ebbene sì il grande Maestro Federico Fellini era convinto che “esistessero due vite, una con gli occhi aperti e una con gli occhi chiusi, la seconda è la vita dei sogni, cioè quegli spettacoli che si ripetevano tutte le notti.”
E queste fotografie potrebbero rappresentare quella sua spiaggia di Rimini, quei luoghi tra sogno e realtà che descrive in “I Vitelloni”o in “Amarcord”. Uno sguardo, uno scatto. Piccoli particolari, talvolta anche insignificanti come una finestra o le docce della spiaggia possono invece diventare grandi protagonisti di una fotografia. Quei particolari che non tutti sanno cogliere, forse solo chi come me non sono nata in quei posti ma li ho vissuti da sempre. Guardi e riguardi i dettagli, passi e ripassi sempre in uno stesso posto e magari per anni non trovi l’ispirazione.
Poi in un momento, in un attimo proprio quel dettaglio attira diversamente la tua attenzione e da lì nasce la fotografia. Fil rouge di tutti gli scatti è indubbiamente la presenza simbolica delle cabine, viste quasi come un rifugio, un luogo chiuso in mezzo alla vastità del mare, per passare al dolce ricordo dell’infanzia con i giochi poi lo sguardo si sposta all’insù per guardare quella vecchia barca che non potrà mai salpare perché deve fungere come insegna, poi ci si addormenta, le visioni diventano meno nitide, si inizia forse a sognare.
Un elemento simbolico, il piccolo pattino, il sogno di addentrarsi nel mare e iniziare a pedalare, perdersi, fino ad arrivare alla linea dell’orizzonte, quel confine che non è mai troppo netto tra il mare e il cielo, per poi ritrovarsi, rientrare e guardare da terra l’orizzonte, seduti su una semplice panchina.
Monica Baldi, classe 1985, vive tra Reggio Emilia sua città natale e Riccione. Dopo gli studi al DAMS di Bologna è diventata giornalista collaborando con diverse testate curando la sezione cultura per poi nel 2013 affacciarsi al mondo della fotografia. Ha iniziato proprio nel 2013 il suo progetto più significativo, “Rimini Rimini”, che vede come protagonista la Riviera Romagnola nella versione meno nota ai turisti. Nel 2017, edito da NFC, è uscito il libro fotografico del progetto.
Ad oggi ha esposto in diverse mostre personali e collettive a Reggio Emilia, Mantova, Rimini, Riccione, Cattolica e ha partecipato a due edizioni di Fotografia Europea.
Rimini Rimini, stazione di Rimini, ripete l’altoparlante come fossimo arrivati in California. Qui però il mare è quasi sempre piatto e le spiagge sono piene di ogni tipologia umana. Entrare in questo affollatissimo “divertimentificio”, pieno di castelli e secchielli e riuscire a ritagliarsi qualche interessante fotografia non è cosa da poco.
Si perché, o caschiamo a fare le solite cabine dalle geometrie colorate, arrivando spesso ad una estetica fine a se stessa, o più spesso, come hanno fatto oramai tutti, ci affidiamo al mare d’inverno, la foto “concettuale” con l’ombrellone chiuso e una malinconia che Luigi Ghirri aveva già espresso quarant’anni fa.
Monica è riuscita invece a superare questi stereotipi, complice il suo vero amore per questo luogo (che non è ancora un “non luogo”), abbandonandosi alla luce forte e calda che gioca fra gli stabilimenti e il molo. Sono immagini somiglianti più a manifesti sbiaditi dal sole che a vere e curate fotografie. Sono fotografie stampate su carta da disegno, ma che ci importa?
L’atteggiamento singolare e le immagini accattivanti sono proprie di una fotografa che “sta dietro”, sta molto dietro e nascosta a sbirciare dietro la siepe certe curiosità della luce sulle cabine o sulle barche, come fa il bambino guardando dal buco della serratura, trovando tutto più meraviglioso e magico. La sua non è una fotografia che ci sbatte davanti il soggetto, ma piuttosto, grazie alle soglie che inserisce, una fotografia che stimola l’immaginazione.
Una fotografia che sta anche “oltre”, con molta leggerezza, eleganza e discrezione.
Il mare c’è ma non si vede, forse si sente solo un pò il rumore. Il soggetto non è nemmeno più tanto importante. L’importante è la luce abbagliante che lo travolge. Con queste immagini furtive Monica dà vita a una sua fotografia giocosa, solare, come lei vede Rimini, lontana dai paesaggi morbidi o classici delle più svariate cartoline.
Qui non ci sono grandi pretese concettuali ma luce e colori che escono potentemente dallo stato d’animo di Monica, sincera nel sentire e nel guardare. Io dico sempre che bisognerebbe fotografare quello che noi abitiamo, che respiriamo, che conosciamo, piuttosto che paesaggi eccezionali ma che sono a noi distanti. Questa è la dimostrazione del sentire bene il nostro luogo, anche se non esteticamente magnifico. Monica qui spazia tranquilla fra le sue barche e le sue cabine come se fosse a casa sua e per questo riesce a superare i clichè nei quali altri stanno ancora annaspando.
In verità una certa ironia o certi “trompe-l’oeil” che Luigi Ghirri usava già nei primi anni Settanta traspaiono ancora ( …il pesciolino, le panchine, i colorini pastellati dei giochi…) ma l’intento qui è diverso, meno concettuale, più naturale e istintivo. Sembra quasi che con questi stereotipi Monica ci vada a nozze, ne faccia delle vere e proprie “icone”con le quali giocare e fantasticare.
Se non ci fossero forse, bisognerebbe inventarli !
Riccardo Varini
Riccardo Varini nasce a Reggio Emilia (Emilia-Romagna; Italia) nel 1957.
Varini si dedica alla fotografia adottando sin dagli esordi un linguaggio che trae la sua ispirazione dal “maestro” Luigi Ghirri, non meno che dall’estetica dei pittori chiaristi e dalla scuola di Guidi e Morandi.
Le sue opere e le pubblicazioni sono archiviate: allo CSAC ( Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma ), alla Fototeca Panizzi di Reggio Emilia, al MAXXI di Roma, alla Biblioteca Civica di Modena e di Matera e in collezioni pubbliche e private.
Megalopoli di luce che, per quasi cento chilometri, tra Milano Marittima e Misano Adriatico, si spalma tra cielo, terra e mare, compenetrando i tre elementi, che, solo in distanza, si amalgamano tra loro. Il paesaggio ne viene fagocitato, per poi essere restituito all’occhio critico, avvolto in una atmosfera tra il surreale e il metafisico.
Una grande città, distesa sulla sponda sinistra del mare Adriatico, che pochi di noi hanno avuto il privilegio di amare, già dai tempi delle vacanze di Stato, negli anni trenta, quando i figli si allevavano, fin dalla più tenera infanzia nell’ottica temprante della “mens sana in corpore sano” per poi proseguire fino alla fine degli anni cinquanta, quando questo lungo nastro di luce, veniva scelto individualmente come parentesi di serenità, che interrompeva sia lo studio che il lavoro.
Monica Baldi, giocando in casa, ha saputo cogliere, con la sua macchina fotografica, tutto quel complesso di cose effimere, necessarie e indispensabili, che possono trasformare quel brodo primordiale in una grande città, dove le necessità quotidiane del genere umano non vanno mai disgiunte da un sano edonismo di base.
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