“…dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior…”
(Fabrizio De André – Via Del Campo – 1967 )
Tra Cinema e Canzone
di Veronica Crescente
Dopo il fallimento de “Il Bidone” (1955) Fellini incontrò diverse difficoltà nel trovare un produttore per il film successivo “Le notti di Cabiria”. Lo stesso regista ha raccontato che l’idea iniziale del film nacque molti anni prima quando era ancora un semplice sceneggiatore, il progetto era destinato ad Anna Magnani che in quel periodo lavorava con Roberto Rossellini.
Fellini le espose due possibili soggetti: il primo focalizzato sulla figura di una prostituta che viene scelta d’impulso da un attore famoso e che si trova poi costretta a rimanere chiusa in bagno mentre questi è intento a litigare con l’amante; il secondo caratterizzato dalla storia di una contadina povera di spirito che rimane incinta di un vagabondo da lei scambiato per San Giuseppe dando poi alla luce un figlio che lei crede essere di origine divina. La Magnani scelse il secondo soggetto che poi diverrà “Amore” di Rossellini: accanto all’attrice figurerà Fellini nella veste di attore ottenendo un grande successo. Disapprovò invece con decisione il primo dando risalto al carattere tirannico del suo personaggio base, al confine tra il patetico ed il combattivo tipico della popolana romana. Ma ciò non valse a distogliere dalla mente di Fellini l’idea di un personaggio di prostituta non forte o violento ma contornato da una cornice fiabesca ed, a tratti, ingenua. Volle testarne la forza in una sorta di sperimentazione introdotta ne “Lo Sceicco Bianco”, al personaggio venne attribuito il nome di Cabiria, ad interpretarlo Giulietta Masina.
La Masina rimase sempre legata da un rapporto intenso, potremmo dire simbiotico, con il personaggio di Cabiria tanto che non esitava a definirlo come il personaggio della sua vita, in particolare per via del suo temperamento. Tra Fellini e la Masina nacquero varie discussioni, culminanti spesso in attimi di vera e propria tensione, in quanto non d’accordo sulla piega stilistica e caratteriale da attribuire a Giulietta: lui puntava più sull’ironia burattinesca, lei più sul melodrammatico. Nel bel mezzo di questi battibecchi creativi Fellini conobbe una prostituta di nome Wanda: dotata di un carattere apparentemente molto forte, in realtà lo usava come scudo per mascherare una grande fragilità, basti pensare che per ben tre volte aveva tentato il suicidio per amore per poi riprendersi. La donna, inutile dirlo, ispirò Fellini nella rifinitura definitiva di quel personaggio che, ancora prima di esordire, vantava una lunga storia alle spalle.
Maria Cabiria Ceccarelli rientra tra i primi personaggi perfettamente disegnati da Fellini: nel suo modo goffo di muoversi all’interno degli ambienti frequentati, riconosciamo i tratti tipici degli attori della Commedia dell’Arte. Si tratta di una creatura umile ed indifesa che lotta non dimenticandosi mai di sorridere. Anche in lei, come in altri personaggi nati dalla mente, dal cuore e dalla fantasia di Fellini, è possibile rintracciare la figura di Charlot: tutto il cinema del regista di origini romagnole, da sempre, è stato etichettato come clownesco. Essi, infatti, Cabiria compresa, offrono nel giro di poche inquadrature, agli occhi del regista prima ed a quelli dello spettatore poi, esternazioni tendenti all’estremo passando così da motti di entusiasmo e sorriso a situazioni di estrema drammaticità.
La parola d’ordine è contraddizione: fin dalla scena di apertura Fellini vuole stabilire questo punto di vista proponendo, agli occhi dello spettatore, la morte e la resurrezione della prostituta Cabiria. In questo evolversi del personaggio è racchiuso il nucleo tematico dell’intero film: l’amore disinteressato al quale ambisce l’ingenua protagonista, contrapposto ai rapporti di convenienza dettati dall’inganno e dalla perfidia umana. Semplificando è possibile affermare che, ciò che viene messo in scena si riallaccia all’antico scontro tra bene e male, tra la dolce innocenza della donna e l’arroganza del mondo che la circonda. Cabiria incarna questa contraddizione, è un ossimoro vivente. L’ideologia di cui il film intende farsi promotore assomiglia moltissimo a quella di numerosi film noir nei quali vengono presentate due tipologie di donne: la sensuale e pericolosa e quella buona e casta, accoppiata assimilata, dalla critica femminista, alla dicotomia vergine – prostituta, tipica della rappresentazione delle donne da parte del cinema classico.
Via Del Campo (1967)
di Fabrizio De André
Via del Campo c’è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.
Via del Campo c’è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.
Via del Campo c’è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano
e ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.
Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.
Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.
In questo testo Fabrizio De André, parte dell’album “Volume I”, parla del tema dell’amore come mezzo di mercificazione, un tema che si caratterizza come parte integrante della poetica dell’autore. Due le facce che il più celebrato tra i sentimenti assume: da un lato viene visto come sentimento puro che lega e tiene uniti gli amanti in un percorso più o meno lungo, a volte eterno; dall’altro come ciò che può essere messo a disposizione di chi è alla ricerca di una temporanea compagnia. L’idea di affiancare tale canzone al film “Le notti di Cabiria” nasce non solo dal parallelismo che ho voluto stabilire tra la protagonista della creazione di De André e Cabiria ma anche da similitudini nel modo di trattare questo delicato argomento da parte dei due autori: De André come Fellini evitano di dare qualsiasi tipo di giudizio morale nei confronti di una condotta socialmente non gradita. Dal canto loro, coloro che sono costretti a mercificare il proprio corpo. altro non sono che vittime della società borghese, portati dalle circostanze a nascondere dietro la maschera che indossano per professione, un profondo senso di dolore e di inadeguatezza. Anche De André inoltre, come Fellini, presta una grande attenzione nei confronti di tutti coloro che si trovano a vivere il dramma dell’emarginazione, delle sconfitte e delle delusioni, mostrandosi al loro fianco, dalla loro parte. A riprova della delicatezza con il quale viene trattato il tema, l’uso di un climax ascendente che porta solo alla terza strofa a definire esplicitamente con linguaggio cruente il mestiere della protagonista.
Anche dal punto di vista stilistico si possono ravvisare delle somiglianze: il linguaggio semplice e diretto, spontaneo della canzone è paragonabile a quello del film nel quale viene riproposto il modo di esprimersi tipico delle prostitute, diretto, semplice e schietto. La solitudine è il vero macigno contro il quale entrambe le figure femminili rappresentate (nel film e nella canzone) sono chiamate ogni giorno a fare i conti: la solitudine della prostituta che si ritrova, paradossalmente, a dover colmare la solitudine dei clienti. E sarà proprio questo senso di solitudine insopportabile che porterà Cabiria a fidarsi di uomini sbagliati che puntualmente la deluderanno.
La cifra vincente della protagonista del film deriva dalla sua capacità di alzarsi puntualmente dopo ogni caduta e sempre con una rinnovata speranza, proprio come la “bambina” di cui racconta il cantautore genovese come si evince nell’ultima parte della canzone “Ama e ridi se amor risponde, piangi forte se non ti sente, dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior”.
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